Rimane a Cinquefrondi, in Calabria, il procedimento a carico dei 16 imputati accusati di minaccia, ingiuria e molestie ad Annamaria Scarfò, la giovane donna che ha fatto condannare i sei aguzzini che la violentarono quando aveva 13 anni e i cui parenti - ora sotto processo - la hanno perseguitata dopo la decisione di denunciare i violentatori. Lo ha deciso la Cassazione respingendo la richiesta di spostare il processo avanzata dagli imputati che denunciavano un clima "non sereno" nei loro confronti. Senza successo tutti gli imputati - condannati dalla Suprema Corte anche a pagare 1500 euro ciascuno per la pretestuosità del ricorso - hanno sostenuto che la "campagna mediatica" in favore di Annamaria, e l'aiuto a lei dato da associazioni 'rosa', rendevano i giudici di Cinquefrondi, sezione distaccata del Tribunale di Palmi, "non liberi di prendere una decisione in maniera imparziale". Nel ricorso in Cassazione i parenti degli stupratori, oltre a parlare degli effetti pregiudizievoli dei media, hanno scritto che "le associazioni di tutela non accusano solo le famiglie degli imputati nel procedimento principale per violenza sessuale, ma accusano tutta la comunità di San Martino di Taurianova". Proprio in un casolare di campagna in questa contrada reggina avvenne il sequestro e lo stupro di Annamaria che - dal 2010 - vive in una località protetta come prevede la legge antistalking. Non c'è "nessuna grave situazione locale", né è "sufficiente allegare alcuni articoli di giornale per far ritenere che sia compromessa l'imparzialità del giudice e la libertà di determinazione dei testimoni". "Il fatto poi che alcune associazioni si siano mobilitate per fornire assistenza morale alla vittima - prosegue la sentenza 40949, depositata oggi e relativa all'udienza svoltasi lo scorso 18 luglio - non ha alcun rilievo ai fini della richiesta di rimessione". E questo "non solo perché si tratta di attività corrispondente agli scopi statutari delle predette associazioni, esercitate in modo pacifico e secondo i dettami della legge, ma anche perché - scrive la Cassazione - il loro intervento non è collegato al luogo dove si svolge il processo, per cui il suo eventuale trasferimento in altra sede non avrebbe alcun effetto". (ANSA).