La condanna all’ergastolo di Tommaso Costa, quale esecutore materiale dell’omicidio di Pasquale Simari, la sera del 26 luglio 2005, nella piazza centrale di Gioiosa Jonica, si fonda sulla «indubbia confluenza in un medesimo contesto dimostrativo» di tutti gli aspetti emersi nel processo, «che se presi singolarmente presentano una relativa ambiguità», ma valutati unitariamente delineano il ruolo dell’imputato. In altri termini la valutazione unitaria degli elementi indiziari rappresentati dal compendio probatorio, collegati sotto un profilo logico, ha portato i giudici della Corte d’assise di Locri a ritenere il 53enne colpevole oltre ogni ragionevole dubbio dell’uccisione dell’imprenditore gioiosano.
Nei motivi della sentenza di primo grado, emessa dall’Assise di Locri lo scorso 27 luglio, e depositati nei giorni scorsi, il giudice estensore Davide Lauro ritiene che il 53enne Tommaso Costa «riunisce in sé, in maniera sorprendentemente accurata» tutti gli elementi indiziari risultati dalle dei carabinieri e compendiati nell’informativa “Mistero”, coordinata dalla Procura distrettuale, in particolare dal pm Antonio De Bernardo, quali: «L’altezza (più basso di 10 centimetri della vittima); l’età al momento dell’azione di fuoco (45 anni); l’estraneità al contesto gioiosano, tanto da non essere riconosciuto pur agendo a volto scoperto (è di Siderno ed era da poco uscito dal carcere dopo una lunga detenzione) la latitanza all’epoca del delitto (ndc: per sfuggire all’esecuzione di una misura custodiale nell’ambito del processo “Carlo Magno”); la posizione apicale nel crimine organizzato (ritenuto al vertice della famiglia Costa e considerato il vero cervello, il più riservato e intelligente e molto temuto dagli avversari, come riferito dal collaboratore di giustizia Antonio Catalano e dal dialogo captato tra Cosimo Salvatore Panaia e Bayan Khaled, inteso Carlo il libanese)».