
Né minacce, intimidazioni o richieste estorsive da parte della famiglia Lavilla a Walter Filianoti, il figlio dell’imprenditore del settore assicurativo, agente generale dell’Ina Assitalia a Reggio Calabria, con un progressivo interesse nel business immobiliare ucciso in un agguato in stile e modalità di ’ndrangheta la sera del primo febbraio 2008. Nessuna pressione dei fratelli Antonio e Maurizio o del padre Giuseppe Lavilla, titolari di un’impresa edile a gestione familiare.
L’ha ribadito ieri davanti al Tribunale collegiale (Bruno Muscolo presidente) lo stesso giovane imprenditore testimone nel processo “Archi-Astrea” su richiesta della difesa di Antonio Lavilla, l’avvocato Lorenzo Gatto. È il penalista reggino che mette sotto esame il giovane imprenditore, che ha preso le redini dell’azienda di famiglia dopo il drammatico agguato in cui ha perso la vita il padre. Non sono mancate le difficoltà nella vita e nel lavoro, di fronte ad un dramma senza un minimo di spiegazione logica – anche se la Dda sta indagando sul delitto come logico desumere dalla raffica di “omissis” sul verbale di interrogatorio – e “rinfrescato” da un’intimidazione in piena regola con una bottiglia piena di liquido infiammabile abbandonata all’ingresso di una delle sue proprietà.
Il primo approfondimento riguarda i rapporti con la famiglia Lavilla: «Mio padre e Giuseppe Lavilla si conoscevano da trent’anni, ma non c’era una frequentazione personale. Rapporti di lavoro proseguiti con i fratelli Antonio e Maurizio per lavori di ristrutturazione e di edilizia in generale. In alcuni casi ho scelto altre ditte che mi avevano proposto dei preventivi di spesa più convenienti».
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