«Se mi volete revocare la misura di custodia cautelare in carcere di certo io non mi offendo». Con questa frase, in parte fuori microfono, Domenico Gangemi, imputato nel processo “Crimine” quale presunto capo del locale di Genova, ha risposto al collegio penale del tribunale di Locri, con evidente riferimento a quanto avvenuto a novembre nel processo “Maglio 3” di Genova.
Gangemi, in sintonia con il difensore, avv. Antonio Managò, ieri sostituito in aula dall’avv. Domenico Palmisani, non aveva inteso proporre una questione relativa a una sua possibile scarcerazione, ma al dubbio sollevato dai giudici del Collegio nei confronti dell’imputato, questo nel giro di una frazione di secondo, mentre di stava alzando dal banco generalmente deputato all’esame dei testimoni, si è detto «disponibile» ad ottenere la liberazione, qualora il Tribunale intendesse, di propria iniziativa, revocargli l’arresto.
Gangemi, 66 anni originario di Reggio Calabria e residente a Genova, viene indicato dalla Procura distrettuale reggina quale referente della ‘ndrangheta in Liguria, con un ruolo di vertice. Nei suoi confronti la Dda, ieri rappresentata in udienza dal pm Giovanni Musarò, contesta un episodio specifico, che riguarda l’avvenuta intercettazione ambientale presso l’agrumeto di Domenico Oppedisano, inteso “don Mico”, già condannato a 10 anni nell’abbreviato del processo Crimine in quanto ritenuto al vertice della cupola della ‘ndrangheta, la “provincia”, con il ruolo di capo crimine.