Vita da boss alla macchia. Anni ed anni trascorsi a sfuggire alle grinfie degli sbirri. Pasquale Condello, il boss di Archi conosciuto da tutti come “Il Supremo”, ha vissuto cinque degli oltre vent’anni di latitanza, grazie alle coperture di Nino Lo Giudice, il pentito del rione Santa Caterina.
Come sia vissuto il latitante Pasquale Condello l’ha raccontato ieri lo stesso pentito, di scena sul banco dei testimoni nel processo “Meta” che si sta celebrando davanti al Tribunale collegiale (presidente Silvana Grasso). Collegato in videoconferenza dal sito protetto (della sua presenza nell’aula bunker nemmeno a parlarne), Lo Giudice è stato torchiato per oltre quattro ore, trascorse tutte d’un fiato, dal sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia, Giuseppe Lombardo.
Nomi e cognomi, indirizzi, scontrini, liste della spesa, parole in codice, cifre, importi di pagamento o probabilmente di incasso. Sono decine i “pizzini” ritrovati dai carabinieri nel covo di via Filici II, a pochi passi dal mare di Pellaro, nell’appartamento dove Pasquale Condello è stato scovato e catturato. Nino Lo Giudice, che dal 2001 al 2005 avrebbe gestito la latitanza del mammasantissima di Archi spostandolo di rifugio, dimostra di conoscere poco. Quasi nulla. A stento ne riconosce la calligrafia. Quindi cosa volesse indicare con la dicitura “Cavallo bianco” non lo sa. Nè immagina l’identità di quei siciliani, palermitani soprattutto, indica generalità ed indirizzo sugli scontrini del “Baby Toys”.
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