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Tra i fermati anche
ergastolano libero
per ritardo sentenza

Giuseppe Belcastro
C'é anche un ergastolano scarcerato nel dicembre 2010 per decorrenza dei termini di custodia cautelare, perché le motivazioni del processo d'appello erano state depositate quattro anni e mezzo dopo la sentenza, tra le cinque persone sottoposte a fermo dalla polizia per estorsione, riciclaggio ed usura aggravati dalle modalità mafiose. Si tratta di Giuseppe Belcastro, di 57 anni, ritenuto il boss dell'omonima cosca, operante a Sant'Ilario sullo Ionio. Belcastro era stato condannato all'ergastolo nel marzo 2006 dalla Corte d'assise d'appello di Reggio Calabria a conclusione del processo sulla faida di Sant'Ilario, durata oltre 17 anni, tra le famiglie dei D'Agostino da una parte e dei Belcastro-Romeo dall'altra. Ma le motivazioni di quella sentenza furono depositate solo nel dicembre 2010, provocando la scarcerazione di Belcastro. Dopo essere uscito dal carcere, Belcastro fu avviato alla pena alternativa nella casa di lavoro di Sulmona. Quindi il Tribunale di sorveglianza dell'Aquila dispose nei suoi confronti la trasformazione della misura in libertà vigilata per due anni e Belcastro tornò a Sant'Ilario. La scarcerazione di Belcastro provocò scalpore e polemiche otre all'intervento dell'allora ministro della Giustizia Angelino Alfano e del procuratore generale presso la Cassazione. Belcastro, ritenuto capo indiscusso della cosca, è considerato colui che dette inizio allo scontro con i D'Agostino con i quali era precedentemente federato e dei quali, secondo l'accusa, era il braccio destro e killer. Per porre fine allo scontro, che ha provocato numerosi omicidi, intervennero i vertici dei clan dominanti a Locri e Siderno. Adesso Belcastro è stato sottoposto a fermo insieme ad altre quattro persone, Antonio Galizia (24), Giuseppe Nocera (50), Domenico Musolino (57) e Ivano Tedesco (50) per estorsione ai danni di un'imprenditore. Secondo il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri ed il pm della Dda Antonio De Bernardo, che hanno firmato i provvedimenti di fermo, il denaro estorto finiva proprio a Belcastro. Secondo quanto emerso dalle indagini della squadra mobile di Reggio Calabria e dei commissariati di Bovalino e Siderno, l'imprenditore è stato costretto ad assumere come braccianti agricoli alcuni affiliati alla cosca oltre a dover pagare direttamente somme di denaro. Circostanze che l'imprenditore ha denunciato alla polizia. Gli assegni usati per pagare gli stipendi, nonostante gli assunti non si recassero al lavoro, venivano portati all'incasso da uno degli indagati, che poi girava il denaro a Belcastro.(ANSA)

 

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