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Gli affari romani
della ’ndrangheta

saccà e frisina

Ove ce ne fosse stato ancora bisogno, l’ultima inchiesta della Dda di Roma ha confermato che la ’ndrangheta ha ormai allungato i tentacoli su un gran numero di bar e ristoranti del centro storico della Capitale. All’alba di ieri il personale del Centro operativo della Dia capitolina, in collaborazione con i colleghi di Reggio Calabria, ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip Simonetta D'Alessandro nei confronti di 3 presunti esponenti della ’ndrina dei Gallico di Palmi, ritenuti responsabili di trasferimento fraudolento di beni aggravato dal metodo mafioso, unitamente a sei prestanome accusati di concorso nell’attività delittuosa e che ne rispondono in stato di libertà. Il giudice ha anche disposto il sequestro preventivo di numerosi beni per un valore di circa 20 milioni di euro. Eseguite, infine, perquisizioni domiciliari a carico di altri soggetti. Sono finiti in carcere Francesco Frisina, 57 anni, nato a Palmi e residente a Roma, già denunciato all’autorità giudiziaria per associazione mafiosa, estorsione, armi e rapina, in passato sottoposto alla sorveglianza speciale; Carmine Saccà, 46 anni, nato a Taurianova e residente a Roma, già denunciato per estorsione ed altro. Il terzo destinatario del provvedimento restrittivo, Alessandro Mazzullo, 30 anni, nato a Oppido Mamertina e residente a Roma, denunciato in passato per furto, porto abusivo di arma da fuoco e favoreggiamento di un latitante, già irreperibile da tempo, non è stato rintracciato. Nell’inchiesta Risultano indagati Maria Antonia Saccà, 48 anni, nata a Sinopoli e residente a Roma, moglie di Francesco Frisina e sorella di Carmine Saccà; Claudio Palmisano, 44 anni, nato a Palmi e residente a Roma; Andrea Porreca, 40 anni, di Roma; Grazia Rugolo, 41 anni, nata a Oppido Mamertina e residente a Roma; Giuseppe Vincenzo Di Stilo, 36 anni, di Roma; Carla Voluttà, 45 anni, nata a Napoli e residente a Roma. L'inchiesta coordinata dai pm Palaia e Palamara, con la direzione del procuratore Giuseppe Pignatone, ha fatto emergere l’esistenza di un progetto di infiltrazione nella realtà economico-finanziaria della Capitale tramite il reinvestimento di cospicue somme di denaro di provenienza ritenuta illecita. In particolare, con l’ausilio di prestanome, familiari e no, e attraverso l’indispensabile supporto di un’agenzia immobiliare romana (il cui titolare è indagato in stato di libertà, ma la cui società è stata sottoposta a sequestro), i sodali hanno acquisito noti locali commerciali all'ombra del Colosseo, nonché svariati immobili e terreni. Nello specifico, sono stati sottoposti a sequestro 26 fabbricati tra Roma, Palmi e Gioia Tauro, 44 terreni per complessivi 14 ettari, destinati alla coltivazione delle olive nella Piana di Gioia Tauro, 31 conti correnti bancari e postali, 9 partecipazioni societarie e 7 autovetture. Dall’attività investigativa è emerso che gli indagati avevano creato un sistema per reinvestire in Roma i proventi illeciti delle attività delittuose della loro cosca di appartenenza. Tale sistema, ideato grazie alla collaborazione offerta da professionisti del settore, prevedeva l’acquisto di esercizi commerciali da porre come garanzia per le successive acquisizioni nel campo della ristorazione. Una parte dei ricavi illeciti, secondo gli inquirenti, era stata investita nell’acquisto di tre unità immobiliari in via Boccea, dal valore complessivo di 1 milione 500mila euro, che i principali indagati (Francesco Frisina e Carmine Saccà) avrebbero intestato fittiziamente a loro familiari o parenti per eludere eventuali misure patrimoniali nei loro riguardi. Dal 2008, il gruppo avrebbe concluso varie operazioni di acquisto e cessione di società nel settore della ristorazione, operazioni ritenute fittizie in quanto intestate a terzi prestanomi (indagati in stato di libertà). Le società sarebbero state acquisite per un valore di gran lunga inferiore a quello di mercato, al fine di coprire gli investimenti illeciti. L’inchiesta si è occupata della società “Colonna Antonina 2004 Srl”, intestata a Maria Antonia Saccà e Grazia Rugolo, di fatto di proprietà di Francesco Frisina e Carmine Saccà, già titolare del noto bar “Chigi” sito nell’omonima via e sottoposto a sequestro preventivo dal Centro operativo Dia di Roma nel luglio 2011; il bar “Antiche Mure”, sito in via Leone IV, della società “Macc4 Srl”, intestata a Maria Antonia Saccà, Alessandro Mazzullo e Claudio Palmisano, di fatto di proprietà di Francesco Frisina; il ristorante “Platinum”, sito in via dei Banchi Nuovi 8, della società “Lasara 98 Srl” di Giuseppe Di Stilo e Carla Voluttà, di fatto di proprietà di Carmine Saccà. Nell’ambito della stessa indagine è stato altresì disposto anche il sequestro preventivo delle società “Immobiliare Genzano Sas” di Andrea Porreca, con sede a Roma; “Sapac Discount” di Maria Antonia Saccà e Carmine Saccà, con sede a Palmi.

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