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Boss Antonino Pesce,
autorità e carisma

tribunale palmi

Il terzo appuntamento della lunga requisitoria del sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria, Alessandra Cerreti, è incentrato sulle singole posizioni dei numerosi imputati interessati dal procedimento “All Inside”.
Il discorso di accusa del Pm antimafia descrive contorni e presunte responsabilità dei vari imputati facenti parte o ritenuti affiliati alla famiglia Pesce.
Una dettagliata analisi che proseguirà anche nella giornata di oggi per poi lasciare la parola alla collega Giulia Pantano della Procura della Repubblica di Palmi, che si occuperà di analizzare i reati fine che compongono il corposo procedimento.
L’ultima tappa vedrà protagonista ancora una volta la Cerreti con le richieste di condanna. Colloqui, ritrovamenti, dichiarazioni incrociate che, secondo il disegno accusatorio, inchioderebbero i vari imputati alle specifiche responsabilità.
Il punto di partenza è il profilo di Antonino Pesce, colui che è considerato dagli inquirenti ai vertici della famiglia attiva sul territorio di Rosarno. Da qui l’analisi delle singole posizioni degli imputati. Il sostituto introduce sin da subito l’aspetto economico della gestione degli affari di famiglia che sarebbe riconducibile a Nino Pesce, i cui colloqui sono definiti nel corso della requisitoria «un manuale di cultura mafiosa», dai quali emerge «tutta la capacità e l’intuito manageriale di Antonino Pesce che rappresenta la sintesi tra lo zio Giuseppe, da cui ha ereditato il carisma, ed il rampante figlio Francesco (’78)».
Proprio i colloqui intercettati e le prove prodotte nel corso delle lunghe indagini inducono a ipotizzare da parte dell’accusa che è lo stesso Nino Pesce «a regalarci granitici elementi probatori».

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