Processo “Virus”, sono crollate in Corte di Cassazione le accuse di associazione mafiosa e aver favorito la cosca di ’ndrangheta Alvaro di Sinopoli. La decisione è stata presa ieri dai giudici della sesta sezione della Suprema Corte, condividendo la tesi che era stata sostenuta in discussione dal collegio difensivo. Sono state confermate, invece, le accuse di riciclaggio internazionale di denaro, favoreggiamento personale al boss latitante, Carmine Alvaro, e detenzione di armi di provenienza illecita. Annullamento con rinvio, quindi, per i reati più gravi che erano costati severe condanne in primo e secondo grado ai 13 imputati, ancora una volta in Corte d’Appello a Reggio Calabria per un nuovo giudizio. Tredici le persone coinvolte nell’operazione “Virus”. Tre di Reggio Calabria: Francesco Borruto, Maurizio Grillone e Felice Antonio Romeo; dieci di Sinopoli, la cittadina dell’Aspromonte tirrenico reggino dove è localizzata la roccaforte della cosca di ’ndrangheta degli Alvaro: Carmine Alvaro, Domenico Alvaro, Giuseppe Alvaro, Nicola Alvaro, Paolo Alvaro, Rocco Caruso, Antonio Dalmato, Francesco Dalmato e Rocco Salerno. Il collegio dei difensori impegnato davanti ai giudici della Suprema Corte era composto dagli avvocati Antonio Managò, Guido Contesabile, Domenico Alvaro, Francesco Calabrese, Giulia Dieni, Antonio Mazzone, Domenico Vadalà, Lorenzo Gatto e Nico D’Ascola. L’inchiesta “Virus” era nata nell’ambito delle ricerche del latitante Carmine Alvaro, boss di Sinopoli figlio del patriarca della ’ndrangheta calabrese don Cosimo Alvaro.