Due condanne e un’a s s o l u z i one. Il Tribunale presieduto da Teresa De Pascale, al termine di una lunga camera di consiglio, ha condannato a 19 anni di reclusione (riconoscendo il vincolo della continuazione) Carmelo Murina; e a 5 anni e 6 mesi Giuseppe Morabito. Assolto, invece, Francesco Trimboli, che era difeso dagli avvocati Umberto Abate e Domenico Cartolano. Si è concluso così il primo capitolo di questa storia giudiziaria conosciuta come uno stralcio del processo Agathos, in cui il personaggio-chiave era proprio Carmelo Murina, il quale, difeso dagli avvocati Antonio Managò e Francesco Calabrese, viene considerato uno degli uomini al vertice del clan Tegano. Il sostituto procuratore antimafia, Giuseppe Lombardo, nei confronti del terzetto alla sbarra aveva usato la mano pesante. Il pm aveva chiesto 18 anni di reclusione (15 mila euro di multa) per Carmelo Murina; 22 anni (13 mila euro di multa) per Francesco Trimboli; 7 anni per Giuseppe Morabito. Il Tribunale, come detto, ha accolto in parte le sue richieste. Carmelo Murina, dunque, ha subito la condanna più pesante. Considerato uno dei vertici del clan Tegano e punto di riferimento della cosca di ’ndrangheta di Archi nel rione Santa Caterina, sul suo conto non solo le analisi e i riscontri della Procura antimafia, ma nel quadro dell’accusa si sono incastonate anche le pesanti dichiarazioni dei vari collaboratori di giustizia che si sono susseguiti in Aula come testimoni dell’accusa: da Roberto Moio, nipote di Giovanni Tegano e chiave di volta nel teorema accusatorio in virtù della partecipazione diretta alle dinamiche mafiose della consorteria di Archi, Nino Lo Giudice, Consolato Villani, Umberto Munaò e lo stesso Giacomo Toscano, l’ultima “gola profonda”, in ordine di tempo, della ’ndrangheta. Tutti i pentiti hanno ripetuto le medesime considerazioni su Murina, tra l’altro riportata dal pm Giuseppe Lombardo nel corso della sua rigorosa requisitoria: «Tutti i collaboratori di giustizia ci dicono che Carmelo Murina fosse un capo vero e riconosciuto». Anche il pentito Nino Lo Giudice, che avrebbe condiviso, in rappresentanza di Pasquale Condello “Il supremo”, l’area di Santa Caterina con Carmelo Murina, non ha dubbi a rimarcare che «nel popoloso rione a nord del centro cittadino ricoprisse mansioni apicali per le ’ndrine della città ». L’altro imputato condannato è stato Giuseppe Morabito, difeso dall’avv. Ettore Aversano. Per gli inquirenti Morabito sarebbe il referente delle ’ndrine nella zona preasprontana di Terreti, anche per aver ospitato la latitanza del padrino Giovanni Tegano. Gli agenti della Squadra Mobile, come ha riferito in aula il vicequestore Diego Trotta che ha coordinato il blitz, scoveranno Tegano, nell’aprile 2010, proprio all’interno dell’abitazione di Morabito. Assolto dalle pesanti accuse, invece, Francesco Trimboli, che, secondo il pm Lombardo, ricopriva un ruolo nella gestione della tangente imposta dalla cosca Tegano, attraverso Roberto Moio, alla società che si occupava della pulizia dei treni la “New Labor” e che aveva il via libera nell’a ffidamento dell’appalto dietro il compenso di 20 mila euro al mese.
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