. Di giorno in libertà, la notte in carcere. Il Tribunale di sorveglianza di Reggio Calabria ha concesso la semilibertà a Giovanna Bellantonio, 43 anni, reggina di Seminara. È la donna finita al centro delle cronache nazionali come “l’amante diabolica”, per aver pianificato e messo in atto il 22 luglio 2000, insieme al suo amante Antonino Caccamo (l’esecutore materiale), di uccidere il marito, Rocco Ditto. Un agguato spietato, crudele, efferato. Chi ha sparato non si è fatto scrupoli che distanti una manciata di metri, in attesa a bordo di un’autovettura, ci fossero i due figli della vittima designata. Un delitto per il quale Giovanna Bellantonio è stata condannata con sentenza definitiva a 30 anni di carcere (come il killer Antonino Caccamo). Nei suoi confronti le accuse di omicidio, aver indotto i figli, all’epoca dei fatti minorenni e al di sotto dei 14 anni di età, e aver messo in atto il progetto assassino nei confronti del coniuge. Dodici anni dopo la donna ritrova la libertà. Diurna e parziale, ma libera di poter ricostruire la propria vita e ricomporre la famiglia con i due figli, oggi maggiorenni, che in questi anni di sofferenza le sono rimasti accanto. Sostenendola. Una decisione assunta dai giudici del Tribunale di sorveglianza di Reggio (composto da Daniela Tortorella e Sabrina Incognito) in accoglimento di un articolato ragionamento giuridico del difensore della donna, l’avvocato Giacomo Iaria del Foro di Reggio Calabria. Dalla pena dei 30 anni di carcere subiti, il difensore ha argomentato la necessità dello scorporo della condanna, di cui 27 anni per il reato di omicidio. La legge prevede che si possa usufruire della semilibertà solo dopo aver scontato i 2/3 della pena: nel caso specifico dopo aver superato la soglia dei 18 anni di reclusione. Da qui, secondo l’avvocato Giacomo Iaria, vanno decurtati altri 3 anni grazie all’indulto come sostenuto da una sentenza della Corte di Cassazione «che evidenzia come l’indulto vada applicato al reato più grave (quindi l’omici - dio)». Ulteriore sconto per la buona condotta, beneficio pari a 3 mesi per ogni anno trascorso dietro le sbarre: altri 3 anni in meno. In sede dibattimentale, davanti ai giudici del Tribunale di sorveglianza e del rappresentante della Procura generale Francesco Scuderi, è emerso come fosse stato realizzato in maniera compiuta il percorso di rieducazione sociale della detenuta. Fondamentale anche il responso, contenuto nella relazione esibita in Tribunale, dell’èquipe delle carceri di Reggio Calabria, della direzione penitenziaria e dello staff degli assistenti sociali, nella quale la donna è stata detenuta. In questa ottica il difensore di Giovanna Bellantonio, l’avvocato Gaicomo Iaria, ha voluto porre in evidenza il risultato processuale frutto di una sinergia delle parti: «Ritengo che questo risultato sia il frutto sinergico del lavoro compiuto all’interno delle carceri di Reggio. Grazie al proficuo lavoro svolto dall’èquipe carceraria, coordinata in prima persona dalla direttrice Carmela Longo, e del capo dell’area educativa degli assistenti sociali, dottore Emilio Campolo. Da evidenziare inoltre la sensibilità umana e giuridica dimostrata dai magistrati del Tribunale di sorveglianza che hanno recepito il percorso intramurario compiuto dalla Bellantonio soprattutto per la costante attenzione avuta per la figura materna evidenziando nel miglior modo possibile il senso rieducativo della pena». Che la donna stesse affrontando il regime detentivo come una detenuta modello era emerso anche di recente, quando il Tribunale aveva accolto le istanze della difesa concedendo permessi premio e la possibilità di poter sostenere fasi di lavoro all’esterno, assunta da un ristorante di Reggio Calabria. Un locale dove la donna continuerà a lavorare, trascorrendo nella propria residenza il resto della giornata insieme ai figli che hanno scelto di vivere con lei. La sera, però, il rientro in carcere, per trascorrere la notte e continuare a pagare il pesante conto che la giustizia le ha riservato. Per completare la pena per il dramma del 22 luglio 2000 quando, nei pressi di una fontanella pubblica di Seminara, si consumò il destino di Rocco Ditto. La vittima era intenta a riempire d’acqua alcune bottiglie quando una mano assassina esplose 4 colpi di pistola calibro “7,65”. L’assassino allontanandosi aveva lasciato per terra un caricatore con sei cartucce, un cappello e uno strofinaccio. Le tracce per depistare gli inquirenti, facendo ipotizzare che si fosse trattato di un delitto conseguenza di una rapina. Ma la vittima quella sera era in pantaloncini da mare, quindi facilmente desumibile che non portasse con sé nulla di valore. A inchiodare “gli amanti diabolici” erano stati i risultati delle intercettazioni ambientali e telefoniche disposte nella cerchia dei familiari della vittima. Antonino Caccamo e Giovanna Bellantonio stavano consumando una relazione sentimentale clandestina. Il movente del delitto.