Il collaboratore di giustizia Giuseppe Costa, presunto ex boss dell’omonima famiglia di Siderno, avrebbe omesso di riferire ai magistrati della Procura distrettuale quanto a sua conoscenza su un omicidio che avrebbe commesso il fratello, Tommaso Costa. Il 64enne Costa, inoltre, avrebbe raccontato di aver voluto collaborare «per togliersi dei sassolini dalla scarpe » contro i Commisso. A raccontarlo al pm Antonio De Bernardo è stato un altro collaboratore di giustizia Vincenzo Curato, 39 anni, noto come “Vicienz ‘u cassanisi”, gola profonda dell’inchiesta “Timpone rosso” eseguita nel 2009 contro alcuni presunti clan dell’area tra Corigliano e Cassano dello Jonio. Dell’esistenza del verbale inserito nel fascicolo del pm ha dato notizia il lo stesso pm De Bernardo all’inizio dell’udienza di ieri del processo “Recupero”. Il collaboratore Curato, che è stato sentito il 18 marzo scorso alla presenza degli investigatori del commissariato di Siderno, guidato dal dottor Vincenzo Cimino, ha riferito di aver appreso direttamente da Costa, con il quale si trovava recluso nello stesso carcere, pare quello di Prato, tra l’aprile e l’ottobre 2013, dell’avvenuta omissione agli inquirenti della partecipazione a un omicidio da parte del fratello Tommaso, che si trova detenuto in regime di 41-bis e sul quale pende la condanna all’ergastolo quale esecutore materiale dell’omicidio di Pasquale Simari, caduto sotto i colpi di un killer la sera del 26 luglio del 2005 a Gioiosa Jonica. “Vicienz ‘u Cassanisi” ha detto di non conoscere il nome della vittima, ma di aver saputo che la vicenda Giuseppe Costa l’avrebbe appresa mentre si trovava in carcere nel corso di un colloquio con un nipote di nome Francesco. Su tale delitto il collaboratore Curato ha solo indicato la circostanza che Costa avrebbe deposto dinanzi ai giudici.
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