E’ il capo indiscusso dell’omonima cosca Carmelo Iamonte, una delle quattro persone arrestate dai carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria nell’operazione «Replica». Un boss che temendo l'arresto bonificava periodicamente casa sua per evitare l'installazione di microspie. Iamonte, prima dell’arresto era stato sottoposto a fermo, insieme a Gianpaolo Chilà. Provvedimento preso per il pericolo di fuga dei due che, secondo l’accusa, erano a conoscenza della collaborazione instaurata con gli inquirenti da Giuseppe Ambrogio, anche prima dell’esecuzione dell’operazione «Sipario». Nel corso dell’indagine è emersa, inoltre, la facilità con cui gli affiliati sostenevano di poter accedere ad informazioni riservate. Iamonte, inoltre, era consapevole di poter essere arrestato e per questo motivo provvedeva periodicamente alla
bonifica della propria abitazione per evitare che fossero installate microspie. Dalle indagini, in merito al ruolo di Carmelo Iamonte, è emerso che è lui stesso che si attribuisce il ruolo di capo assoluto del sodalizio, nella misura in cui afferma che, se lui fosse stato libero, non sarebbero di certo stati commessi i gravi errori nella gestione del sodalizio che avevano condotto all’operazione «Ada». Inoltre è partecipe dei destini della sua organizzazione, anche quando le vicende giudiziarie non lo toccano direttamente. Il carisma di Carmelo Iamonte Carmelo è tale che a lui si sarebbe rivolto perfino un avvocato sostenendo di non avere nessun imputato da difendere per il processo «Ada». Iamonte, secondo l’accusa, avrebbe anche avallato la credibilità del collaboratore Giuseppe Ambrogio nel momento in cui criticava i personaggi più autorevoli che avrebbero condiviso notizie riservate dell’associazione con lo stesso collaboratore, soggetti quali il fratello Remingo, Antonino Tripodi "barrista" e lo zio del collaboratore, Lorenzo Marino. (ANSA).
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