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Clan Bellocco-Pesce:
scacco ai poteri
della ’ndrangheta

 Avrebbero favorito la latitanza di Giuseppe Pesce, 34 anni, il tutto mettendo in atto una serie di stratagemmi e precauzioni al fine di non correre rischi con le Forze dell’ordine. Un sistema ben collaudato, secondo gli inquirenti, che è stato smantellato nella mattinata di ieri con il seguito dell’operazione “Sant’Anna”. La misura è stata emessa nei confronti di ulteriori 13 indagati (non colpiti dal provvedimento di fermo del 16 luglio 2014 con la prima operazione “Sant’Anna”), ritenuti responsabili del reato di favoreggiamento personale aggravato dall’art. 7 per aver agevolato la latitanza di Giuseppe Pesce cl ‘80. «Il provvedimento –si legge nella nota dei Carabinieri – scaturisce dagli esiti di due distinte attività investigative svolte sul contesto mafioso della Piana di Gioia Tauro, sviluppate dai Carabinieri del Ros e del Comando Provinciale di Reggio Calabria in due periodi differenti: la prima, tra settembre 2012 e ottobre 2013, finalizzata alla cattura dell’allora latitante Giuseppe Pesce (’80), inteso “Testuni”, divenuto reggente dell’omonima cosca all’indomani della cattura, il 9 agosto 2011, del fratello maggiore Francesco cl.’78». In particolare, nel periodo compreso tra gennaio 2012 e marzo 2013, «sono stati accertati più di una dozzina di allontanamenti Ilenia Bellocco moglie di Giuseppe Pesce ndr), che aiutata, in più circostanze, da fedelissimi affiliati alla cosca (come Domenico Sibio) o da stretti congiunti, è riuscita – seppur estemporaneamente e per brevissimi periodi – ad incontrare il marito latitante, o con lui a trascorrere un periodo di vacanza, nell’estate 2012, a Gizzeria Lido (CZ)». Alcuni di questi indagati si sarebbero «attivamente operati per eseguire continue bonifiche dei luoghi e delle autovetture a loro in uso per sviare le investigazioni in corso o eludere servizi di pedinamento dei militari operanti eseguiti nei loro confronti». La seconda operazione, condotta tra i mesi di gennaio e giugno 2014, è stata eseguita nei confronti di «Umberto Bellocco, cl. ‘37 (suocero di Giuseppe Pesce) e di altri appartenenti all’omonimo sodalizio, di cui l’anziano boss è il capo fondatore». Obiettivo principe della prima operazione la cattura del latitante Giuseppe Pesce considerato dagli inquirenti il reggente dell’omonima cosca. L’altro ramo delle investigazioni si era, invece, concentrato nel dimostrare «le complesse dinamiche associative sviluppatesi all’interno della Società di Rosarno, a seguito della scarcerazione dello storico boss Umberto Bellocco (cl. ‘37), avvenuto nel mese di aprile 2014, dopo una detenzione durata oltre un ventennio ». Una figura di spicco e dal grande «spessore criminale» quella di Bellocco «il quale usufruendo dell’ausilio dei suoi più stretti sodali, la maggior parte appartenenti al medesimo contesto familiare, ha tentato di riaffermare la propria leadership, anche attraverso il ripristino di preesistenti relazioni con esponenti apicali di altre cosche mafiose (tra cui i Crea di Rizziconi) e la riorganizzazione delle attività illecite della cosca sul territorio rosarnese». Secondo le ipotesi investigative i Bellocco avrebbero concentrato i loro interessi verso direttrici ben precise: «È stato, altresì, accertato che Bellocco e i sodali a lui vicini, non solo avessero ampia disponibilità di armi, ma si fossero attivati per reperirne altre, di maggiore potenzialità offensiva». Al contempo sono stati documentati «gli interessi della cosca mafiosa nel traffico di sostanze stupefacenti, nel cui ambito si inseriscono le convergenze investigative del GOA della Guardia di Finanza di Reggio Calabria, che vedono coinvolto Umberto Emanuele Oliveri, nipote di Umberto Bellocco cl. 37, prescelto dallo zio quale referente della potente cosca di ‘ndrangheta, per il traffico di droga condotto attraverso il porto di Gioia Tauro». Gli accertamenti svolti dai Carabinieri del Ros e dal Nucleo Pt – G.I.C.O. della Guardia di Finanza di Reggio Calabria, avrebbero così consentito «di rilevare una globale situazione reddituale del tutto iniqua rispetto a quanto posseduto, chiara attestazione della sussistenza di un’evidente sperequazione tra reddito dichiarato e tenore di vita degli indagati». Il Gip ha anche disposto il sequestro preventivo di 2 autovetture, di diverse attività commerciali (fra le quali una pizzeria) di una abitazione, nonché di numerosi rapporti bancari, postali e assicurativi intestati agli indagati, per un complessivo valore stimato di 1 milione di euro.

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