Reggio

Mercoledì 14 Maggio 2025

Pochi soldi, tanto potere criminale dietro la “guardianìa”sui terreni

Riesplode, come fossimo nell’Ottocento, il fenomeno della guardianìa sui terreni nella Piana di Gioia Tauro. Un dato che emerge a chiare lettere dalle due inchieste della Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria condotte nell’arco degli ultimi sette mesi. L’operazione “Vecchia guardia” del 25 marzo 2014, conclusasi con sei persone in manette, e il blitz dello scorso 16 ottobre con altri tre arresti ad opera della Squadra Mobile di Reggio e dei commissariati di Gioia Tauro e Taurianova. «Un fenomeno criminale praticato non tanto per intascare soldi facili ma per affermare il predominio sul territorio » spiegano i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria che hanno firmato le indagini.

Le campagne di Taurianova Alla famiglia Zappia prima e a Domenico Cianci dopo. A Taurianova, nelle campagne di San Martino come nella frazione Amato, non si sfuggiva alla mannaia del pizzo per assicurarsi la protezione su poderi e latifondi. Nella Piana – a Taurianova soprattutto, ma vessazioni e soprusi sono stati accertati anche a Laureana di Borrello e Rosarno - serviva pagare per mettere al sicuro uliveti ed aranceti. Addirittura lemoderne coltivazioni biologiche. La guardianìa imposta dai clan percorreva un semplicissimo schema. Un dazio mensile per scongiurare furti e danneggiamenti, ruberie e blitz vandalici. A Taurianova si praticava un prezzo standard: 400 euro al mese. Pagamento - preferibilmente - in due tranche semestrali, ed ovviamente –rigorosamente – in contanti. Tanto serviva per stare in pace.

Le indagini della Polizia Una regola alla quale in pochi sfuggivano, e che tanti invece subivano: come si legge dalle carte delle due indagini “Vecchia guardia”. Incastrati gli Zappia la scorsa primavera, la gestione della guardianìa nelle campagne di Taurianova era diventata un’esclusiva di Domenico Cianci, l'anziano boss dalla vita segnata per il coinvolgimento, arresto e condanna, per la “Strage di Razzà”, la morte di un carabiniere che aveva osato sfidare l'arroganza delle 'ndrine. Appena uscito dalla galera, nel dicembre 2013, ha passato in rassegna tanti proprietari terrieri snocciolando la sua legge: «Sono uscito dal carcere dopo 25 anni. Non pensavo di rimanere tanto in galera per l’omicidio di un carabiniere. Voglio riprendere la guardianìa della zona». Una scelta di campo per riaffermare il suo nome sul territorio. E così avvenne, anche quando ritornò in galera. Il business doveva proseguire. Per portarlo avanti si mise nelle mani di un fidato guardaspalle (Luigi Cutrì, agli arresti domiciliari nell’ambito della stessa operazione per l'ipotesi di reato di tentata estorsione aggravata dalle modalità mafiose). Dal carcere ordinava ed impartiva le direttive: «Facciamoli pagare lo stesso».

L’anziano boss Operava in prima persone Domenico Cianci. Aveva carisma e modi, piglio e storia di malavita. Uno degli imprenditori sprofondato nelle sue grinfie ha raccontato ai magistrati della Dda: «Cianci Domenico mi si è presentato con fare gentile. Mi chiese a titolo di regalia 2.400 euro ogni 6 mesi. In sostanza, per un proprietario il versamento della tangente costituisce acquisto della sicurezza. Se non ci sono loro, tanto subentrano altri che richiedono i pagamenti. La somma veniva da Cianci Domenico ritirata presso l'azienda agricola oppure gliela portavo io, previo appuntamento. Non è mai venuto nessuno al posto di Cianci per il ritiro della somma ». La legge delle ‘ndrine. Come accadeva due secoli fa.

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