
Si presentavano da commercianti e imprenditori a Palmi chiedendo un “fiore”. Pretendevano il pizzo per finanziare la gestione della cosca “Gallico” dissanguata dalle continue retate, assicurare una vita agiata alle famiglie dei detenuti e rinnovare il potere criminale della dinastia mafiosa da sempre padrona della città. Un’accusa per la quale dal prossimo 19 dicembre otto persone affronteranno il processo con il rito abbreviato davanti al gup di Reggio Calabria. Il rinvio a giudizio è stato disposto ieri dal gup Davide Lauro a conclusione dell’udienza preliminare. Richiesta di processo sollecitata dai pm della Dda, Adriana Sciglio e Roberto Di Palma. Hanno tutti scelto – attraverso il collegio difensivo composto dagli avvocati Gianfranco Giunta, Guido Contestabile, Mario San-t’ambrogio, Davide Barillà, Domenico Ceravolo, Mario Virgillito e Giancarlo Pittelli - di essere giudicati con il rito abbreviato le otto persone sotto accusa che rispondono, seppure con diversi profili di responsabilità, di associazione per delinquere di stampo mafioso, usura ed estorsione entrambi reati aggravati dalle modalità mafiose. Si tratta di Rocco Bartuccio, Rocco Brunetta, Antonino Cosentino detto “Poldino”, Emanuele Cosentino, Antonino Gallico (classe 1987), Domenico Nasso, Ivan Nasso e Loredana Rao. L’inchiesta “Fiore”, messa a segno dalla Squadra Mobile della Questura di Reggio Calabria e dal commissariato di Palmi, ha consentito di individuare, e smantellare, il gruppo delle cosiddette giovani leve che scorrazzava a Palmi, imponendo il pizzo a tappeto spendendo il nome del padrino, Rocco Gallico. Che ancora oggi incute terrore in tutta Palmi. Per rafforzare il messaggio criminale, stringendo in una asfissiante morsa di intimidazione le vittime nel bersaglio, tra gli emissari del racket c’era anche uno dei figli del capoclan. Nome altisonante, ma appena 16 anni di età: la sua posizione è stata stralciata e si ritrova a giudizio, per lo stesso quadro accusatorio, davanti al Tribunale per i minori di Reggio Calabria. Quando i poliziotti l’hanno fermato, il rampollo della famiglia mafiosa custodiva con sè una lista con i nomi da taglieggiare. Commercianti ed imprenditori, di qualsiasi disponibilità economica. Accanto al nome le cifre da sborsare e il denaro già intascato. Come ribadito in conferenza stampa il giorno in cui furono eseguiti gli arresti, i procuratori Federico Cafiero de Raho e Carlo Macrì e il questore Guido Nicolò Longo, non hanno dubbi sulla caratura criminale della gang: «Gente agguerrita che in assenza dei capi aveva avviato un’intensa attività estorsiva a Palmi. Non lasciando spazio ad alcuno». Minorenne il capo, giovanissimi i compari. Tutti insieme avevano organizzato un sistema di estorsioni capillare, seguendo le direttive del boss Rocco Gallico che dal carcere indicava a familiari come operare. Un calvario confermato da pochi, coraggiosi, operatori economici che hanno trovato la forza di denunciare soprusi ed angherie. L’inchiesta “Fiore” è la prosecuzione dell’inchiesta “Cosa mia” che in più tranche ha messo in ginocchio il clan Gallico.
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