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Falcomatà: «Vittoria!
Reggio è libera»

 «Reggio è libera!». Sono le sue prime parole. Giuseppe Falcomatà vince le elezioni abbattendo ogni ostacolo e travolgendo con la furia di un tornado il rissoso esercito avversario. Sessantuno per cento e partita chiusa. Al suo principale competitore, Lucio Dattola, espressione di uno schieramento in guerra con se stesso, concede appena il 27,34. Tutti gli altri li lascia addirittura a casa. Nessuno di loro entrerà in consiglio comunale. La vittoria di Falcomatà era nell’aria. Non solo perché il vento spirava a suo favore, ma anche per la condotta da suicidio di massa di coloro che avrebbero dovuto sbarrargli la strada. L’epilogo non poteva essere più ovvio: il centrodestra consuma il frutto avvelenato di una feroce faida politica che ha visto protagonisti Forza Italia e Reggio Futura, con sullo sfondo il fantasma del Ncd. E tutto questo per spartirsi un magro bottino alla mensa dei poveri. Alla fine è 4-4, ma in termini di voti assoluti e punti percentuali “il derby de noantri” va a Reggio Futura (leggi Scopelliti), mentre la malandata formazione di Alfano fa il gol della bandiera e “conquista” un seggio. Tutto qui. Nove consiglieri che con Dattola fanno dieci. Dall’altra parte c’è affollamento. I seggi sono ventidue (7 Pd, 3 ciascuno a Centro democratico, Reset, La Svolta, A Testa Alta, uno a testa al Partito socialista, Officina Calabria e Oltre). Una maggioranza ampia, che consentirà al primo cittadino di amministrare senza l’assillo di dover rincorrere eventuali riottosi. Situazione ideale per uno che vuole avere le mani libere, prendendo su di sé, com’è giusto, le responsabilità derivanti dal largo consenso popolare nei suoi confronti. Giuseppe Falcomatà, 31 anni, avvocato, è il più giovane sindaco della storia di Reggio. È figlio di Italo, che governò negli Anni Novanta. Anni difficili. Nel 1993, quando arrivò per la prima volta a Palazzo San Giorgio grazie a un accordo tra partiti, la città era ridotta a un colabrodo. La terza guerra di mafia e Tangentopoli l’avevano fiaccata nel corpo e nello spirito. Il grande merito del “francescano di ferro”, come amava definirsi, fu quello di darle una speranza, riconciliandola con se stessa e col mondo. Fu così che nacque la “Primavera di Reggio”. Tre anni dopo, però, Italo si ritrovò prigioniero delle liti tra comari e decise di dimettersi. Seguì una cinica gestione straordinaria che ebbe come artefice il commissario Daloiso, “l’uomo con la pistola” (ne teneva sempre una in bella mostra sulla sua scrivania). Infine, nel ‘97, si tornò alle urne e “il sindaco della Primavera” stravinse. Giuseppe non ha mai nominato il padre durante la campagna elettorale. Per una forma di rispettoso pudore. Adesso finalmente può farlo: «Per me è un punto d’orgoglio ». Anche il neo sindaco eredita una città piegata in due dal trauma dello scioglimento del consiglio per contiguità mafiosa e dagli effetti di due anni di brutale commissariamento. Giuseppe Falcomatà però non teme di misurarsi con la montagna di problemi che lo aspetta. Ieri sera, nella sua prima conferenza stampa, ha scommesso ancora sulla rinascita: «Governerò con i cittadini, rendendoli partecipi e attori delle scelte. Ce la possiamo fare e ce la faremo. Ci sono i presupposti. E la Città metropolitana è una straordinaria chance». Comincia un’altra storia. E forse un’altra Primavera... «Reggio è libera!».

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