Il giorno dell’avvocato Vittorio Pisani, il collaboratore di giustizia dal passato di legale di fiducia delle ’ndrine di Rosarno, già condannato a 4 anni e mezzo per violenza privata nei confronti di “Cetta” Cacciola, la giovane misteriosamente morta sucida nel 2010 dopo aver scelto di collaborare con la giustizia. Ieri, davanti ai giudici della Corte d’Appello di Reggio, ha testimoniato, collegato in video conferenza dalla località protetta, nel processo “All Inside”, il troncone principale dell’inchiesta che ha messo in ginocchio capi e gregari delle cosche rosarnesi. Sollecitato dalle domande del pm Alessandra Cerreti (dalla Dda applicata alla Procura generale) Vittorio Pisani ha affrontato una serie di argomenti di particolare delicatezza. Un ventaglio di argomenti che daranno ulteriore linfa all’impianto accusatorio. Si passa dai rapporti trasversali di Marcello Pesce, tra i vertici della famiglia mafiosa di Rosarno ed oggi latitante, con rappresentanti delle forze dell’ordine e i padrini della ’ndrangheta. Ed ancora: le vicissitudini di Maria Concetta Cacciola nella fase della ritrattazione pilotata prima della decisione di togliersi la vita sulle cui trame è aperto un fascicolo di indagine per omicidio; la paura di essere ucciso perchè ormai “bruciato” agli occhi delle cosche Pesce e Bellocco e la tormentata decisione di “saltare il fosso”, spifferando ai magistrati della Procura distrettuale antimafia le dinamiche della ’ndrangheta di Rosarno a cui lui, nelle vesti di professionista, avrebbe prestato il fianco; il rapporto conflittuale con l’avvocato Gregorio Cacciola, l’altro legale di Rosarno accusato, ed arrestato nella stessa operazione, per essere legato ai clan. L’argomento centrale della testimonianza resa ieri all’aula bunker a Reggio è coinciso con le gesta di Marcello Pesce, suo assistito. Vittorio Pisani svela i tentativi del giovane capoclan di «costruirsi una difesa nel processo tramite prove false» fino al progetto di fabbricare documentazione falsa per eludere i sequestri di beni oltre all'abilità «di avere notizie dagli investigatori». Fughe di notizie che gli consentiranno – sospetto senza prova - di sfuggire alla cattura. La storia racconta ancora oggi come Marcello Pesce sia uno dei casi più eclatanti di macchia preventiva. Tra i tanti passaggi critici, strozzandoli la voce in gola e singhiozzando per le lacrime di sofferenze, ne rievoca il primo da detenuto: «Luglio 2014: dopo aver reso dichiarazioni spontanee, all’interno del furgone della Polizia penitenziaria, capitai con Giuseppe Cacciola. Che senza tanti giri di parole mi minacciò, dicendomi che alcune cose che avevo detto avrei potuto evitarle e che sarei stato ricompensato alla stessa maniera». Il secondo episodio è legato alla sorte tragica di “Cetta” Cacciola: «La ragazza era indecisa se tornare a Rosarno e interrompere la collaborazione con la giustizia per poi affermare che forse sarebbe stato meglio se fosse restata dov'era e continuare a collaborare. Percependo questa sua indecisione, le dissi che non aveva bisogno di un avvocato e le suggerii di parlare con i magistrati e con il Servizio di Protezione. Dopo una ventina di minuti verrà allo studio Gregorio Cacciola, il fratello di Maria Concetta. Con lui un giovane: era molto arrabbiato e il ragazzo che lo accompagnava aveva un giubbotto, circostanza che mi colpì molto perché era un pomeriggio di agosto. Ho temuto che avesse l’intenzione di spararrmi. Ho avuto davvero paura per l’incolumità dei miei familiari: così ho scelto di collaborare». Sui legami «tra Marcello Pesce e i carabinieri di Rosarno» Vittorio Pisani rimarca alla pg Alessandra Cerreti «di aver saputo da un terzo soggetto – Giovanbattista Galatà - dell’amicizia tra il tenente Stefano Santuccio, ex comandante della Tenenza di Rosarno (attualmente indagato per favoreggiamento aggravato dalle modalità mafiose) e Marcello Pesce».