L’ennesima crisi idrica ha messo a nudo una situazione scandalosa, indegna di una città civile. Reggio si affida a un sistema basato su una rete colabrodo, dove nell’anno da poco consegnato agli archivi i guasti sono stati centinaia. La conseguenza primaria è che in riva allo Stretto le riserve sono praticamente azzerate: pozzi vuoti e sorgenti quasi del tutto a secco. Nel terzo millennio ci si deve arrangiare con un sistema di elettropompe che spingono nelle condotte la poca acqua dei serbatoi. In un contesto del genere torna in primo piano la telenovela legata al completamento della diga sul Menta. Basta citare la parola “Menta” e fa capolino lo sconcerto per i tempi esageratamente lunghi nella realizzazione di un’opera i cui lavori sono iniziati ben 35 anni fa. E dopo 35 anni l’attesa continua. Un’infinità di volte i reggini sono stati gabbati dalle promesse di una politica buona solo a fare chiacchiere. È il caso di ricordare quanto accaduto il 6 febbraio del 2012 quando, nel pieno di un’ondata di durissime polemiche seguite all’ennesima, interminabile crisi idrica che aveva portato i reggini sull’orlo della disperazione, l’allora governatore Scopelliti aveva annunciato la pubblicazione di una delibera Cipe, un atto che ufficializzava lo stanziamento di 13 milioni di euro destinati alla realizzazione delle opere residuali per giungere, finalmente, al completamento della diga sul Menta. Da quel giorno sono trascorsi altri tre anni ma la parola fine a questa storia paradossale iniziata nell’ormai lontano (è proprio il caso di dirlo) non è stata ancora scritta. In questi tre anni la città dello Stretto ha subito l’onta dello scioglimento per mafia del Consiglio comunale e la lunga parentesi di gestione straordinaria che non è servita a porre rimedio a una situazione economica da far paura. Anzi, il quadro complessivo è peggiorato e i reggini sono stati chiamati a dieci anni di sacrifici durissimi per rispettare il Piano di riequilibrio elaborato dalla terna di commissari che ha governato Palazzo San Giorgio nei due anni successivi allo scioglimento. Incredibile ma vero, dopo 35 anni i reggini non sanno quando si arriverà al taglio del nastro augurale e dai rubinetti di casa vedranno finalmente sgorgare l’acqua del Menta. Ma c’è un altro aspetto che non si deve trascurare ed è legato al quantitativo di acqua proveniente dall’invaso aspromontano: sarà sufficiente a coprire il fabbisogno di Reggio? La domanda è d’obbligo perché Non è da escludere, infatti, che l’acqua del Menta potrebbe non bastare per coprire le esigenze di una città notevolmente cresciuta rispetto a com’era quando l’opera è stata progettata. C’è chi ha provato a spingersi oltre, proponendo anche l’eventuale soluzione: utilizzare l’acqua del Metramo, l’invaso che inizialmente era stato pensato per avere l’acqua necessaria al centro siderurgico, da utilizzare in parte per raffreddamento dell’impianto e in parte per l’agricoltura, per l’irrigazione. Ma questi sono discorsi del futuro. Il presente, invece, è drammaticamente complesso. Sabato, il sindaco Giuseppe Falcomatà ha lanciato un appello ai reggini: «A meno di due mesi dall’insediamento non chiedeteci l’impossibile». Non si può dargli torto anche se, nello stesso tempo, c’è da chiedere la definizione di un piano per uscire dall’emergenza, una strategia chiara per uscire dall’impasse. A cominciare da quel che è necessario fare per provare a sbloccare la pratica della diga sul Menta.
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