Tutto cambia, compresa la definizione di un mestiere antico, un tempo praticato dal “barbie - re”. Capelli e barba, stando comodi in una poltrona col poggiatesta davanti agli immancabili, grandi specchi, nel tipico “salone”, per una sfumatura alta o bassa. Raramente il lusso dello shampoo oggi quasi rigoroso poiché igienico. Fra una sforbiciata e l’altra, le quattro chiacchiere insaporite da qualche piccolo pettegolezzo, anche quando, durante la “seduta”, il titolare impugnava con mano ferma e con perizia il rasoio. E poi via. Alla prossima. Ricordiamo che nell’immediato dopoguerra e per diversi anni era di moda il calendarietto pieghevole profumato a colori, con immagini di belle, sconosciute, sorridenti e discinte donnine, distribuito dal barbiere ai clienti nel periodo natalizio. Andava conservato nel portafoglio. Una sciccheria per quell’epoca, magari con l’implicita scusa-invito di una piccola mancia al garzone; nulla di scandaloso per carità. Un tocco accattivante. Anche la vita era più semplice. E forse si rideva di più. Tutto poi si è complicato. Meglio: sofisticato. In ossequio alla modernità. Adesso sul campo sono di turno abilissimi “acconciatori”. Una categoria per così dire globale. Dal ’95 tale dizione contempla infatti i barbieri di un tempo (molti in città non se ne sono discostati in senso classico), gli acconciatori per uomo e per donna ovviamente di entrambi i sessi, che possono altresì ampliare la loro opera in un istituto di bellezza. “Acconciatori”, dunque. Si chiamano così. I giovani specialmente, oggi indulgono in una – non più sorprendente – cura della propria persona dalle varie modalità. E’d’uso comune farsi depilare, o correggere il disegno delle sopracciglia, tanto per dirne una. Ma anche questo settore ha subito e sta subendo una forte contrazione della domanda. La contingenza economica generale estende i suoi pericolosi tentacoli pure nel mondo degli acconciatori. Se non è crisi vera quasi la sfiora. Per conoscere meglio la situazione, in questa nostra terza puntata volta ad effettuare una carrellata sui mestieri, abbiamo chiesto il permesso di varcare la soglia di alcuni (non più) “salo - ni da barba” o negozi di acconciatori. Un nuovo capitolo per tentare di inquadrarne appieno problematiche, disagi, difficoltà, esigenze indifferibili e ipotizzare qualche suggerimento per il futuro. Lo abbiamo scritto avvalendoci della guida di An - tonio Cacurri. Abbiamo scelto un piccolo campione, non potendo sentire tutti. Cacurri è un addetto ai lavori. Dal 1992 è presidente del Gar, acronimo di Gruppo acconciatori reggini e organizzazione di eventi. La sua azienda, che prolunga la tradizione familiare, festeggia le nozze d’oro. Il Gar ha uno score prestigioso nel campo dell’ac - conciatura: ha appena centrato il terzo gradino del podio ai campionati del mondo e due anni addietro ha vinto la coppa campioni. Ha cominciato a lavorare a 18 anni. «Se valutiamo gli effetti della crisi – ci spiega – sono soddisfatto del mio lavoro, sebbene oggi con i bilanci sofferenti siamo costretti ad andare avanti stringendo i denti. I tagli fanno passi da gigante e siamo obbligati ad adeguarci. Molte innovazioni arrivano dal Giappone, dalla Russia, dalla Romania. Inoltre subiamo richieste di aperture di esercizi anche da immigrati cinesi, i quali non hanno le carte in regola». Cacurri passa rapidamente alle dolenti note. In primis fisco e tasse che «ci stanno strozzando». Aggiunge: «Mediamente a Reggio per un taglio e una piega si pagano venti euro, ma qui non possiamo essere trattati, alla stregua di Milano o Torino. Occorre “separare” le aree geografiche. L’Iva sui prodotti di lavorazione ci può stare, sulla manodopera la stessa percentuale è insopportabile. Pertanto chiediamo una diversa considerazione». E ancora: «Va modificato il meccanismo dei corsi nelle scuole di apprendistato con stage nei negozi per imparare bene il mestiere». Dulcis in fundo…il lavoro clandestino e gli incassi in nero. «Chi non segue le regole – conclude il presidente Cacurri – crea enormi danni a quanti le osservano. E va perseguito».