Venerdì mattina il procuratore della Repubblica di Catanzaro Vincenzo Antonio Lombardo ha “torchiato” per quasi due ore Francesco Gennaro Triolo, il quarantasettenne reggino che, nei giorni scorsi, è stato denunciato dalla Guardia di Finanza per le telefonate minatorie fatte contro i magistrati antimafia della Dda reggina Giuseppe Lombardo e Nicola Gratteri. Una storia difficile da qualunque angolazione la si guardi, con il rischio – sempre in agguato – di «sottovalutare o sopravvalutare i fatti». Così come aveva ammonito lo stesso procuratore Vincenzo Antonio Lombardo il giorno della conferenza stampa in cui la Guardia di Finanza annunciava che aveva risolto il caso. E allora restiamo saldamente ancorati ai fatti. Che sia stato Gennaro Triolo a chiamare i centralini della Guardia di Finanza e dei Carabinieri è un fatto ormai assodato. È stato filmato dagli investigatori che hanno eseguito anche una decina di perquisizioni per dare un contesto chiaro all’azione del Triolo e cercare di capire se alle spalle di “Gennarino” – il diminuitivo con cui è meglio noto in città – ci fosse un mandante che tirava i fili e spediva l’indagato a fare quelle telefonate che avrebbero dovuto avere come effetto quello di minare la tranquillità dei due magistrati impegnati in delicate inchieste antimafia. Triolo, nell’arco di due mesi, ha effettuato una decina di telefonate dalle cabine pubbliche della città. Ha chiamato molte volte il centralino della Guardia di Finanza per minacciare il pm Lombardo e qualche volta di meno il centralino dei Carabinieri per minacciare il procuratore aggiunto Gratteri. Per fare le sue telefonate si è servito delle cabine telefoniche del viale Calabria, di via Cardinale Portanova e anche di via XXV Luglio. Fin qui i fatti. Da qui in poi partono le ipotesi. E le domande più “taglienti”: perché l’ha fatto? E ancora: ha davvero agito da solo? Dopo essere stato interrogato dagli inquirenti, Gennarino avrebbe anche spiegato il motivo delle sue telefonate e chiesto scusa per i suoi gesti sconsiderati. Accompagnato alla caserma Caravelli dal suo avvocato di fiducia Maurizio Condipodero, Triolo ha spiegato ogni cosa ai magistrati catanzaresi che sono i titolari delle indagini. Ha parlato tanto con un italiano forbito e ha fornito date e luoghi e non ha mai provato a rifugiarsi dietro inutili menzogne escludendo categoricamente di avere agito dietro compenso o “suggerimento” o ordine di qualcuno. Gennarino avrebbe spiegato agli inquirenti di essere un tifoso, un vero fan dei magistrati che rischiano la propria vita per la collettività e che lui li considera degli autentici eroi. Spinto da questa sua ammirazione sfrenata, avrebbe poi pensato bene di fare qualche telefonata minatoria per fare alzare il livello di protezione attorno ai due magistrati impegnati in prima linea contro la ’ndrangheta. Avrebbe anche chiarito agli inquirenti i contorni della telefonata fatta alla madre del pm Lombardo e come era riuscito a entrare in possesso del numero telefonico della vedova dell’ex procuratore della Repubblica di Locri che vive a Monasterace. Gennarino, come ha ricordato l’avvocato Condipodero, ha alle sue spalle una storia familiare complicata e lo stesso avvocato sarebbe pronto a chiedere al Tribunale un amministratore di sostegno per il suo assistito. Intanto, lui ha fornito questa versione dei fatti. Spetterà, adesso, ai magistrati valutarli con serenità «senza sopravvalutarli, né sottovalutarli».