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Dopo la morte gli ridanno la casa

 Il tribunale di Locri ha disposto una sentenza di non luogo a procedere nei confronti del defunto Vincenzo Melia, per tutti i reati ascritti, presunto capo della sovrastruttura denominata “Corona”, deceduto nello scorso febbraio ad Ardore. Il collegio penale, (presidente Sicuro, consiglieri Gerace e Cosenza), esaminata l’istanza presentata dall’avv. Antonio Russo di richiesta di revoca del sequestro dell’immobile del defunto 85enne, imputato nel processo denominato “Saggezza”, pur con il parere contrario del pm, ha disposto il dissequestro e la restituzione dell’abitazione agli eredi Melia. Sul punto il tribunale ha ritenuto che, per effetto del decesso dell’imputato, i reati sono estinti e l’immobile allo stesso intestato “non è più suscettibile di confisca”, pertanto il predetto sito ad Ardore Marina «non può che essere restituito agli aventi diritto». Secondo l’ipotesi della procura distrettuale il defunto Melia, nato a Platì e per molti anni residente all’estero, rispondeva di associazione per delinquere di stampo mafioso e altro, in concorso con diversi soggetti, tra cui i presunti capo e consiglieri della “Corona” Nicola Romano di Antonimina e Nicola Nesci di Ciminà. Nel contesto investigativo della maxi inchiesta “Saggezza”, eseguita dai carabinieri, l’85enne, che al momento del decesso si trovava agli arresti domiciliari, avrebbe mantenuto un ruolo apicale nella presunta “Corona”, struttura che avrebbe avuto un’influenza sulle “locali” di ‘ndrangheta di Antonimina, Ciminà, Ardore, Cirella di Platì e Canolo. Nel processo in corso a Locri una parte considerevole dell’impianto accusatorio si sorregge sulle intercettazioni captate dagli inquirenti anche all’interno dell’abitazione del defunto Melia, che da ieri è stata restituita ai suoi eredi. Proprio ieri il tema d’accusa si è articolato in parte sui dialoghi intrattenuti nella tavernetta dell’immobile di Melia, che conversava in particolare con Nicola Romano. Sulle identificazioni ha deposto ieri il brigadiere Vincenzo Cannone, che ha ripercorso tutta una serie di conversazioni registrate anche all’interno dell’autovettura di Romano, in cui l’imputato dialogava in particolare con la propria moglie e con Melia su vicende e fatti di interesse investigativo. L’investigatore, rispondendo alle domande poste dal sostituto procuratore Antonio De Bernardo, della Dda reggina, ha ripercorso anche alcune conversazioni intercettate e provenienti dall’interno di un’autovettura in uso all’imputato Giuseppe Raso. In sede di controesame sono intervenuti gli avvocati Maio, Iemma, Scarfò, Severino, Zappia, Mammoliti Giunta e Minniti, che per i rispettivi assistiti hanno sottoposto il teste ad una serie di domande tese a verificare se oltre al contenuto intercettivo i conversanti sono stati identificati attraverso dei servizi di osservazione, a riscontro delle ipotesi originarie. Dalla prossima udienza è previsto l’inizio dell’escussione dei testi a discarico dei 43 imputati.

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