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Processo Saggezza, vacilla la “Sacra Corona”

Si è chiuso con 15 condanne a complessivi 151 anni di reclusione il filone in ordinario del processo “Saggezza”. Ieri dopo due giorni di camera di consiglio, i giudici del tribunale di Locri (Alfredo Sicuro presidente, Maria Teresa Gerace e Adriana Cosenza), hanno dato lettura del dispositivo della sentenza che ha registrato anche 28 assoluzioni piene e prescrizione per alcuni reati “minori” per i quali è stata esclusa l’aggravante mafiosa. Anche per alcuni degli imputati condannati si sono registrate delle assoluzioni o delle prescrizioni relative a reati “minori”. Il pm Antonio De Bernardo, della Dda reggina, aveva concluso chiedendo condanne per quasi 4 secoli di carcere per 40 imputati e 3 assoluzioni. Gli imputati rispondevano, a vario titolo, di associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, porto abusivo e detenzioni di armi, usura, esercizio abusivo del credito, truffa, furto, intestazione fittizia, infiltrazione in appalti e forniture pubbliche e condizionamento del voto ed altro. La pena più elevata (20 anni di reclusione) è toccata a Nicola Romano, accusato di far parte di un’associazione per delinquere di stampo mafioso con un ruolo apicale nella locale di Antonimina. Secondo l’accusa originaria Romano avrebbe fatto parte anche di una struttura denominata “Corona” o “Sacra Corona”, al pari di Nicola Nesci, condannato a 15 anni per associazione mafiosa quale partecipe alla locale di Ciminà. Condannato poi a 14 anni di reclusione Giuseppe Varacalli, che sarebbe affiliato alla locale di Ardore e secondo la Dda sarebbe anche nell’organigramma della “Corona”. Altra pesante condanna, a 19 anni di reclusione, è stata disposta nei confronti di Giuseppe Raso. A seguire, il Tribunale ha condannato Rosario Barbaro a 15 anni, mentre a 12 anni di reclusione è stato condannato l’imprenditore Massimo Siciliano, a 10 anni e 6 mesi Salvatore Fragomeni, a 10 ciascuno Antonio Spagnolo e Rocco Pollifroni. Dieci anni di carcere è anche la pena inflitta a Bruno Bova, già presidente della comunità montana “Aspromonte Orientale” con sede a Bovalino, all’epoca dei fatti esponente della maggioranza in seno al consiglio comunale di Ardore. Secondo l’accusa il 57enne Bova avrebbe fatto parte di un clan di ‘ndrangheta «anche quale esponente politico di riferimento». Il tribunale ha riconosciuto il risarcimento dei danni cagionati a vario titolo da alcuni degli imputati, da liquidarsi in separato giudizio, in favore dei comuni di Ciminà, Platì, Antonimina, Canolo, Careri, Ardore, Gerace, Serra San Bruno e Portigliola, nonché per l’ex Afor. Mentre per la Regione Calabria e la Provincia di Reggio dieci imputati sono stati condannati al risarcimento del danno cagionato, liquidato in 500 mila euro per ciascuna delle parti. E’ stata ordinata la confisca della “Mar srl” e relativo compendio aziendale, e delle quote di due soci della “Due Monti Legname srl”, società per la quale per altri due soci è stata disposta la restituzione delle quote. Infine il collegio ha disposto il dissequestro e l’immediata restituzione delle imprese individuali facenti capo a Teresa Fazzari e Carmine Pollifroni.

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