Sono circa 400 le imprese che aspettano di essere iscritte nella “White List” della Prefettura di Reggio Calabria, ovvero nell’elenco che attesta l’assoluta assenza di infiltrazioni della ’ndrangheta negli organi societari. A distanza di oltre due anni dall’entrata in vigore di quello che doveva essere il principale strumento di argine della criminalità organizzata negli appalti gestiti dalla pubblica amministrazione, i risultati non sono soddisfacenti. L'elenco della Prefettura piange e questo non solo perché il tessuto economico reggino è in parte “inquinato” ma anche perché lo strumento dell'iscrizione resta facoltativo, cioè è lasciato alla decisione dell’azienda iscriversi o meno per evitare i controlli antimafia successivi all'aggiudicazione degli appalti. Poi, l’ingolfamento degli Uffici dilata i tempi di attesa per l’iscrizione che arrivano anche a un anno. Tutto questo provoca un rallentamento nelle verifiche antimafia post aggiudicazione dei lavori ma anche un mancato sviluppo economico nel territorio. Negli elenchi del Palazzo del Governo reggino viene fuori che negli ambiti di interesse delle white list (trasporto di materiali a discarica per conto di terzi; trasporto, anche transfrontaliero, e smaltimento di rifiuti per conto di terzi; estrazione, fornitura e trasporto di terra e materiali inerti; confezionamento, fornitura e trasporto di calcestruzzo e di bitume; noli a freddo di macchinari; fornitura di ferro lavorato; noli a caldo; autotrasporti per conto di terzi; guardiania dei cantieri) risultano essere iscritte in totale sessanta imprese. Troppo poche