I medici indagati a Reggio nell’inchiesta “Mala Sanitas” temevano la magistratura. Ansie e preoccupazioni che aumentavano di giorno in giorno, soprattutto nel novembre 2014, all’indomani dei primi blitz dei militari della Guardia di Finanza nei reparti di Ginecologia, Ostetricia, Neonatologia e Anestesia degli Ospedali Riuniti per acquisire le prime cartelle cliniche sospette. Proprio in quella fase i sanitari apprendevano che l’indagine era stata affidata a un team di inquirenti di primissimo ordine, magistrati solitamente impegnati nelle delicate indagini sulla criminalità organizzata. L’inchiesta “Mala Sanitas” è stata infatti assegnata dal procuratore capo di Reggio, Federico Cafiero de Raho, al procuratore aggiunto Gaetano Paci, e ai pubblici ministeri Roberto Di Palma e Annamaria Frustaci.
In una delle tante intercettazioni telefoniche, in particolare quella intercorsa tra uno dei medici indagati (Daniela Manuzio, destinataria della misura dei domiciliari) con il marito avvocato, commentano: «I pm, come dire non sono... “mezza botta”, cioè sono quelli della Dda, vedi tu, al posto della criminalità organizzata fanno queste cose».
Questa mattina è in programma al Palazzo di giustizia a Reggio, l’interrogatorio di garanzia di Alessandro Tripodi, l’ex primario facente funzioni (fino al 16 aprile scorso) responsabile dell’Unità operativa complessa di Ostetricia e Ginecologia degli Ospedali Riuniti di Reggio. Alessandro Tripodi è uno dei 4 destinatari della misura cautelare degli arresti domiciliari nell’ambito dell’inchiesta che ha visto la sanità reggina finire nell’occhio del ciclone giudiziario.
In precedenza si sono sottoposti all’interrogatorio di garanzia gli altri tre medici agli arresti domiciliari (Pasquale Vadalà, Daniela Manuzio e Filippo Luigi Saccà) che si sono avvalsi della facoltà di non rispondere.
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