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Tredicenne vittima del branco: accuse lucide senza vendetta

Tredicenne vittima del branco: accuse lucide senza vendetta

Reggio Calabria

È rimasta per due anni in silenzio, stretta nella morsa del ricatto di essere infangata per le violenze e abusi sessuali (anche di gruppo) subiti dal branco, prima di trovare forza e coraggio di denunciare l’inferno vissuto. Quando decide di smascherare i nove, tutti paesani, aguzzini, la tredicenne di Melito Porto Salvo racconta, descrive, ricostruisce ed accusa «la discesa negli inferi» con rigore e puntualità. Non spara nel mucchio, anzi distingue gli orrori degli stupri subiti dai rapporti sessuali consumati «consapevolmente e consenziente».

Un atteggiamento che, secondo il Gip di Reggio che ha firmato i sette arresti (l’ottavo arresto è del Tribunale dei Minorenni), e come rimarcato in conferenza dal procuratore Federico Cafiero de Raho e dal colonnello Lorenzo Falferi, comprova la completa attendibilità della sua, sofferta, testimonianza. Nelle carte dell’indagine “Ricatto” si legge: «Dunque “Omissis” è lucida, rigorosa e consapevole, non coinvolge indistintamente i ragazzi con i quali aveva intrattenuto rapporti sessuali in quel terribile periodo durato due anni, ma ne distingue nettamente i ruoli, cosi dimostrando, nonostante tutto, l’assenza di qualsivoglia spirito dì vendetta indistinto». E, come emerge dalla lunga deposizione protetta (alla presenza di un pool psicologi e assistenti sociali) resa dalla ragazzina, sono svariati gli elementi che rafforzano questo atteggiamento di onesto distinguo tra carnefici e non. Altro passaggio rimarcato dagli inquirenti: «Così è stato, ad esempio, quando aveva raccontato che in occasione dell’ennesimo abuso perpetrato ai suoi danni da Davide Schimizzi e Giovanni Iamonte, a casa di quest’ultimo, era stato presente un terzo ragazzo, di circa 30-35 anni, che però non avrebbe partecipato alle violenze, rimanendosene in disparte in un’altra stanza. Tale precisazione denota un rigoroso senso di “giustizia" ed assoluta fedeltà al vero di “Omissis” che, qualora fosse stata animata dalla volontà di calunniare indistintamente quel manipolo di sciagurati ben avrebbe potuto accusare anche questa terza persona. Ferita, umiliata e devastata dalla terrificante esperienza “Omissis” conserva dunque una dignitosa coerenza - premessa ed auspicio di un futuro recupero delle proprie potenzialità interiori - che le consente di non proiettare sull'altro il male vissuto ma di dare a ciascuno la propria parte di responsabilità, gettando così anche le basi per una sua completa riabilitazione "sociale", offrendo con la sua preziosa testimonianza di perseguire gli effettivi autori dei misfatti».

Per due anni ha subito in silenzio, ma ha annotato tutto, la 13enne nelle grinfie del branco. Altra “carta” a favore dell’accusa è il diario degli orrori che teneva la giovanissima vittima; ad ogni incontro a cui era costretta solo per timore di essere infangata in paese vergava di proprio pugno il nome di chi la costringeva e il luogo dove si appartava. Date e posti incrociati con i tabulati telefonici e riscontrati dagli inquirenti.

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Gli interrogatori

Si sono tenuti ieri, davanti al Gip di Reggio Barbara Bennato ed alla presenza del pubblico ministero Luca Baraldo, gli interrogatori di garanzia degli indagati dell’operazione “Ricatto”, l’inchiesta dell’Arma dei Carabinieri che ha smascherato il branco che per due anni avrebbe abusato e violentato una ragazzina di 13 anni di età. Tra i sette giovani finiti in manette Giovanni Iamonte, Davide Schimizzi e Lorenzo Tripodi hanno scelto di rispondere alle contestazioni dell’accusa, dichiarando «la propria totale estraneità» rispetto ai reati che gli vengono contestati. Si è invece avvalso della facoltà di non rispondere Antonio Virduci. Gli altri indagati sono Daniele Benedetto, 21 anni; Pasquale Principato, 22 anni; Michele Nucera, 22 anni; Domenico Mario Pitasi, 24 anni (l’unico all’obbligo di firma).

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