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Le mani dei Piromalli su Gioia Tauro e Milano

Le mani dei Piromalli su Gioia Tauro e Milano

I padroni di Gioia Tauro avevano messo le mani su una fetta dell’imprenditoria sana di Milano e frodavano la filiera agro-alimentare degli Stati Uniti drogando i mercati di New York, Chicago e Boston con il falso “Made in Italy”. Sono ancora oggi i Piromalli i mafiosi d’èlite della Calabria. Il volto moderno della dinastia mafiosa di Gioia Tauro, che operava agli ordini di Antonio Piromalli (classe 1972), figlio di Giuseppe “Facciazza” Piromalli, è stata smascherata, e colpita, all’alba di ieri da Carabinieri del Ros e Procura distrettuale antimafia di Reggio: sono state 33 le persone destinatarie di un provvedimento di fermo nell’ambito dell’operazione “Provvidenza” per associazione mafiosa, traffico di stupefacenti, intestazione fittizia di beni, autoriciclaggio. Contestualmente alla retata, l’Arma ha eseguito un decreto di sequestro preventivo di beni per circa 40 milioni di euro.

Il nuovo capo

Le direttive venivano impartite ancora oggi dal padre - don Pino Piromalli (classe 1945) - nonostante da quasi un ventennio fosse in galera al “41 bis”; mentre toccava al rampollo di famiglia gestire il comando dalla residenza di Milano dove si era trasferito appena scontata la condanna in “Cent'anni di storia” «per non mostrasi alle altre cosche e alle forze dell'ordine» rimarca il procuratore Federico Cafiero de Raho. In sinergia inanellavano business senza fine, ripulendo i soldi sporchi della droga in imprese e aziende insospettabili. A Gioia Tauro agguantavano appalti pubblici a piacimento e progettavano un altro centro commerciale (accanto al preeistente allo svincolo autostradale che conduce alla città del porto); a Milano avevano messo le mani sul mercato ortofrutticolo monopolizzando tramite il consorzio Copam di Varapodio la fornitura dei prodotti «garantendo prezzi di acquisto concorrenziali» spargendo un nome che incute rispetto e terrore; sempre a Milano puntavano all’edilizia, alla palestra dei Vip «che fruttava un reddito annuo da 1 milione e mezzo di euro» e società di abbigliamento, collegate ai marchi francesi “Jennyfer” e “Celio”, con punti vendita in centri commerciali della provincia di Milano e Udine, servizi di pulizia e catering nei villaggi turistici tra Puglia e Basilicata.

I messaggeri

Non parlavano al telefono, non si scambiavano messaggi o mail, ma comunicavano i Piromalli. Compreso il padrino al “carcere duro”. Lo facevano di persona, consegnando (dopo ripetuti passaggi intermedi) stringati “pizzini” ai referenti territoriali o guardandosi negli occhi «capendo e operando» rimarcano il comandante generale del Ros Giuseppe Governale e il colonnello Daniele Galimberti. «Erano le donne a gestire la filiera comunicativa, sostituendosi ai mariti in galera e spendendo la loro parola» spiega il procuratore aggiunto Gaetano Paci.

L’America

Da Gioia Tauro, utilizzando la porta sul Mediterraneo dello scalo portuale, i Piromalli riempivano container con olio di sansa e li spedivano in America. Olio di sansa che veniva spacciato in olio extravergine d’oliva, una delle eccellenze del “Made in Italy” con tanto di etichetta “Bel Frantoio” che invadeva la grande distribuzione collegata alcuni ipermercati americani. Grazie alla cooperazione con l’Fbi il Ros ha individuato la struttura organizzativa estera incaricata della distribuzione, facente capo a Rosario Vizzari, imprenditore residente nel New Jersey «organico alla cosca ed a capo di una holding, costituita da società di stoccaggio e distribuzione merci». Frode commerciale smascherata grazie all'analisi dei flussi di esportazione dal porto di Gioia Tauro effettuata da Agenzie delle Dogane (rappresentata da Rocco Burdo) e dai Carabinieri del comando provinciale di Reggio agli ordini del colonnello Giancarlo Scafuri.

L’intercettazione

Indagine da manuale quella del Ros dei Carabinieri. I Piromalli, capi o gregari, uomini e donne, sono stati seguiti, pedinati, osservati, ripresi ed intercettati. Compresa la “mente” dell’organizzazione, Antonio Piromalli, mentre conversa con toni da boss con la moglie (tra gli indagati) a cui spiega che i soldi per pagare l’apparecchio dei denti o il pianoforte dei bambini hanno una provenienza precisa. E non si tratta di “Provvidenza” divina: «Hai capito dove sto andando a parare? Il Provveditorato ti ha mandato i soldi? Rispondi: si o no? non ci girare. E allora dille le cose, se no non le capiscono, si confondono...» Ed aggiunge: «Perchè quando c’erano, che è mancato papà ogni investimento che aveva fatto papà ogni tanto rientravano a mamma quegli investimenti, ogni tanto le arrivavano 5.000, 10.000, 15.000 euro che poteva pagarci l’apparecchio, le cose di... Non è che glieli mandava il Provveditorato agli studi della Lombardia, mi spiego o non spiego». Altro argomento altra metafora: «Se io dico a uno che lavora per me “Quando ti chiama Rocco mettiti subito a disposizione, seguilo come vuoi”. E allora se quello ti rispetta il cane, vuol dire che il padrone lo ha addomesticato per rispettarti».

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