Reggio

Sabato 23 Novembre 2024

Le donne del clan e i “pizzini”
Così comunicavano i Piromalli

Le donne del clan e i “pizzini” Così comunicavano i Piromalli

Donne di ’ndrangheta e i “pizzini”. Con stringati bigliettini, spesso letti e distrutti all’istante per non lasciare tracce, veniva curata la filiera comunicativa della cosca Piromalli, gestendo gli affari in sostituzione dei mariti in galera. È severo il quadro dell’accusa sostenuto dalla Procura distrettuale antimafia di Reggio nel tratteggiare il ruolo ricoperto delle donne - ben sei - fermate all'alba di giovedì nell’ambito dell’operazione “Provvidenza”, l’inchiesta dei Carabinieri del Ros che ha svelato gli affari dell’ultima generazione della storica dinastia mafiosa di Gioia Tauro che dettava legge nella Piana ma faceva affari d’oro ripulendo gli infiniti introiti del narcotraffico e degli appalti pubblici, investendo in aziende sane ed insospettabili di Milano, in Puglia e Basilicata, e frodando il mercato agroalimentare di New York, Boston e Chicago piazzando olio di sansa (della peggiore qualità, importato da Siria, Turchia e Grecia) negli ipermercati come fosse un’eccellenza del “Made in Italy”, bottiglie di olio extravergine d’oliva a marchio “Bel frantoio”.

Era preciso il compito assegnato alle donne del clan. Ricevere e consegnare i “pizzini” che custodivano gli ordini di scuderia, compresi i voleri del “mammasantissima” don Pino Piromalli “facciazza” (classe 1945) che continuava a imporre l’ultima parola sulle scelte importanti dell’organizzazione nonostante da quasi un ventennio fosse recluso al regime del “carcere duro”. Accanto al padre operava il figlio, Antonio Piromalli, personaggio centrale dell’indagine “Provvidenza” e nuova mente imprenditoriale-criminale della cosca.

Parlavano poco, ma osavano tanto le donne dei “Piromalli”, portando a destinazione gli ordini, personalmente oppure avviando una girandola di passaggi intermedi per eludere il monitoraggio dei segugi dell’Arma.

Il pool di pubblici ministeri che ha redatto il fermo “Provvidenza”, operando sotto le direttive del procuratore di Reggio Federico Cafiero de Raho e dell’aggiunto Gaetano Paci, dedicano un capitolo specifico del provvedimento cautelare (al vaglio del Gip per la convalida) alle funzioni delle donne del clan: «Di straordinaria rilevanza poiché le stesse oltre a partecipare alle ordinarie vicende familiari, rivestivano ruolo indispensabile in termini di circuitazione informativa da e per il capo cosca Antonio Piromalli, agevolandolo così nelle sue attività di conduzione del sodalizio stesso». Aggiungendo: «Assolutamente rilevante, in primis è l'attività prestata soprattutto da Maria Martina e dalle figlie quali intermediarie tra Giuseppe Piromalli ed il figlio Antonio, classe 1972. Le stesse partecipavano infatti regolarmente ai previsti colloqui carcerari, facendosi carico di aggiornare, veicolando successivamente le indicazioni ricevute».

Bastava una sola parola, questa era la direttiva del boss in galera. Un “modus operandi” rilevato dagli inquirenti: «Piromalli Giuseppe (classe 1945) lamentava quindi le problematiche riscontrate con l’invio della corrispondenza, laddove strategicamente provvedeva ad essere sintetico, venendo talvolta mal compreso (“e allora dicevi se mio padre dice in questo modo, un motivo ci sarà, punto… omissis … Giuseppe (classe 1945): allora… allora ti stavo dicendo, no… che… quando mandi il fax tu, no… però la rabbia mia lo sai qual è?... ma questa mi prende in testa, di traverso… è come quando… non c’è peggiore cosa no… di quando io debbo spiegare una cosa… per quale motivo deve essere fatta, no…».

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