Cauti e guardinghi, ma loquaci. Capi e gregari della ’ndrina Tegano, i potenti di Archi colpiti dalla sentenza di primo grado “Il Padrino”, colloquiavano, si confrontavano e si consigliavano secondo una precisa metodologia operativa: usavano «molteplici e collaudate precauzioni» condividendo il fine superiore «di garantire la massima segretezza delle informazioni trasmesse».
C’è un capitolo specifico, nelle motivazioni della sentenza “Il Padrino”, dedicato alla “giostra delle ambasciate”, termine dialettale per sintetizzare la girandola degli scambi di messaggi tra gli uomini della cosca Tegano. Così riassunti: «Fugaci e ripetuti incontri - spesso della durata di pochi minuti e senza altra motivazione apparente se non quella di comunicare poche battute - in luoghi ritenuti immuni dal pericolo di possibili captazioni telefoniche, o per le loro caratteristiche (si pensi ad esempio al fondo isolato in contrada Lupardini, agli incontri presso i lidi, nella zona portuale o sulla spiaggia) o per la riconducibilità a persone di assoluta fiducia; la comunicazione di notizie appartandosi, o parlando all’orecchio dell’interlocutore o consegnando dei “bigliettini” scritti; il disfarsi dei telefoni cellulari prima di iniziare la conversazione riservata; l’adozione di ulteriori “misure” volte ad escludere terzi da conversazioni riservate (ad esempio c’era chi chiudeva a chiave il negozio lasciando i clienti fuori); la “schermatura” dei contatti o per il tramite di utenze telefoniche pubbliche) o dietro apparenti motivazione lecite, precostituendo così un mezzo di prova a discarico; l’esasperato ricorso alla tecnica delle “triangolazioni” al fine di evitare contatti diretti tra il Siciliano e i generi del latitante; il ricorso ad un linguaggio allusivo nelle conversazioni spesso obliterando riferimenti a nomi e luoghi (“Amore dove sei?” era uno dei modi di convocazione del Siciliano, che spesso veniva invitato a recarsi al “solito posto”)».
Precauzioni ed accorgimenti per schermare le strategia della cosca: «La gestione della latitanza del Tgeano (si registravano intensificazioni dei contatti proprio a ridosso dei viaggi presso il covo del latitante); l’affare New Labor (una certa fibrillazione, ad es., precedeva e seguiva i viaggi del Siciliano a Roma; gli incontri del 17 novembre tra Siciliano-Polimeni-La Villa-Crudo precedevano le pressanti richieste di pagamento al Dimo); l’affare degli escavatori; il mantenimento dei rapporti, anche in vista di consultazioni elettorali, con altre cosche (De Stefano e Pelle)».
Contatti tra loro ma anche con gli storici alleati: «Rivelatori sono i contatti, pressoché “paralleli”, che i generi del latitante Crudo e Polimeni tenevano con elementi della cosca De Stefano e con il Pellicano, a sigillo dello storico rapporto, giudiziariamente accertato, tra i due gruppi. Non è un caso, allora, che proprio nei pressi del banco veniva intercettata una conversazione in cui Polimeni Carmine e Fracapane Carmelo facevano chiaro riferimento ai dissidi interni alla cosca sorti dopo la morte dello Schimizzi, su cui riferivano ampiamente i collaboratori, come il Moio».