Catanzaro
Accade che un bel giorno la propria vita venga stravolta e ci si ritrovi a perdere tutto quello che si è costruito negli anni, con la sensazione di essere risucchiati in un vortice e con una sola domanda in testa: “ma sta succedendo proprio a me?”. È accaduto a Luigi Catalano, imprenditore reggino nel settore dei servizi per la Pubblica amministrazione. Nel giugno 2015 la Prefettura di Reggio ha attestato il rischio di infiltrazione mafiosa per la sua azienda. Catalano, che era stato colpito da un rinvio a giudizio non aggravato dall’associazione mafiosa, è stato visto in compagnia di alcuni soggetti tra cui due amministratori attualmente in carica di un Comune per il quale - fa osservare - non è stata nominata una commissione d’accesso. «Se il principio dell’interdittiva “per contagio” è valido e utile – afferma Catalano - dovrebbe essere applicato anche agli organi dello Stato, come deputati, senatori, funzionari, forze dell’ordine, prefetti, politici… Questo mi pare che non accada». Le conseguenze subite dall’imprenditore? Azzeramento dell’impresa, chiusura di tre contratti di servizi e di una struttura alberghiera con 60 camere e ristorante. «Come dovrebbe vivere un soggetto colpito da interdittiva – tuona Catalano - visto che non può aprire un negozio, non può svolgere alcuna attività lavorativa nel settore “autonomo” e nessuno lo assumerebbe alle proprie dipendenze? La normativa presenta un grande vuoto e dovrebbe essere rivista in tempi rapidissimi. Il mio è uno dei tanti casi. Nessun politico ha il coraggio di muovere un dito a difesa delle piccole aziende per paura di essere ritenuto a favore delle mafie. Pur essendo previste delle misure di salvaguardia nella cosiddetta legge “Cantone” purtroppo vi è un’applicazione distorta e tendente ad irrogare la misura più grave del commissariamento. In moltissimi casi l’attività di tutoraggio permetterebbe una gestione dell’azienda “ordinaria” con la presenza di un “controllore” e consentirebbe al Prefetto di desumere se l’azienda sia collusa o meno. Ma invece di far ricorso alla gradualità delle misure prevista dall’art. 32 della legge, si applica sempre quella più dannosa per l’economia locale, le aziende e i lavoratori. È opportuna – chiede – una modifica delle modalità di applicazione dell’interdittiva per renderle “umanamente accettabili”. Perché un magistrato per condannare deve fare decine di udienze e l’imputato ha diritto ai vari gradi di giudizio prima di essere ritenuto colpevole, mentre un Prefetto può applicare l’interdittiva senza processo? Essa non può essere a tempo indeterminato ma dovrebbe avere un termine previsto nel momento in cui viene emanata. Si potrebbe istituire una black list di aziende monitorate con controlli rigidissimi (tracciatura denaro per importi più bassi, sanzioni più rigide nel caso di infrazioni). Tale strumento sarebbe meno lesivo e permetterebbe all’impresa di dimostrare la limpida gestione e/o di accertare se vi sia infiltrazione; così si eviterebbe di danneggiare innocenti e si rispetterebbero i principi costituzionali in materia di diritto al lavoro e libertà d’impresa».
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