«Si tratta di un processo indiziario, ma gli indizi emersi a carico del Micelotta, in assenza di ipotesi alternative ragionevoli, sono plurimi, gravi e concordanti». Sono le conclusioni del gup di Locri Maria Teresa Gerace alla base della condanna a 16 anni di reclusione di Agostino Micelotta, accusato di concorso nell’omicidio di Ernesto Cosimo Ienco, ucciso la notte del 25 ottobre dello scorso anno a Riace. L’imputato è stato condannato al risarcimento delle parti civili, la madre e la sorella della vittima, rappresentate dagli avvocati Alfredo Arcorace e Giuseppe Di Salvo.
Per il delitto è in corso il processo (con il rito ordinario) a Sabrina Marziano, moglie della vittima e ritenuta amante dello Ienco. L’omicidio del 31enne, ucciso davanti a casa al rientro da una festa di matrimonio, evidenzia il gup «non è un agguato di ‘ndrangheta ma un delitto passionale», e ciò «è dimostrato anche dai segni rimasti sulla nuca della vittima. Più colpi, inferti con violenza, quando Ienco era già in terra, dimostrano una rabbia che non appartiene ai modi neutri e funzionali del killer. Questo che in gergo criminologico si chiama “overkilling” (andare oltre l’omicidio) è infatti generalmente sintomo di un movente passionale oppure del terrore, sopraggiunto nell’aggressore, che la vittima rimanga viva e possa reagire».
Un altro punto riguarda lo sparo che, scrive il gup, «proveniva dall’interno dell’abitazione, che difficilmente sarebbe stata scelta da un attentatore estraneo come base per l’agguato». Inoltre «che il Micelotta quella notte fosse all’interno dell’abitazione quantomeno fino all’una lo dice lui stesso, con ciò ammettendo di aver avuto un comportamento assolutamente irrazionale». L’imputato, difeso dagli Maria Stella Chiera e Giuseppe Gervasi, conclude il gup, non ha neficiato delle attenuanti generiche «tenuto conto del comportamento processuale e della gravità del gesto compiuto e dell’intensità del dolo».(r.m.)
Per il delitto è in corso il processo (con il rito ordinario) a Sabrina Marziano, moglie della vittima e ritenuta amante dello Ienco. L’omicidio del 31enne, ucciso davanti a casa al rientro da una festa di matrimonio, evidenzia il gup «non è un agguato di ‘ndrangheta ma un delitto passionale», e ciò «è dimostrato anche dai segni rimasti sulla nuca della vittima. Più colpi, inferti con violenza, quando Ienco era già in terra, dimostrano una rabbia che non appartiene ai modi neutri e funzionali del killer. Questo che in gergo criminologico si chiama “overkilling” (andare oltre l’omicidio) è infatti generalmente sintomo di un movente passionale oppure del terrore, sopraggiunto nell’aggressore, che la vittima rimanga viva e possa reagire».
Un altro punto riguarda lo sparo che, scrive il gup, «proveniva dall’interno dell’abitazione, che difficilmente sarebbe stata scelta da un attentatore estraneo come base per l’agguato». Inoltre «che il Micelotta quella notte fosse all’interno dell’abitazione quantomeno fino all’una lo dice lui stesso, con ciò ammettendo di aver avuto un comportamento assolutamente irrazionale». L’imputato, difeso dagli Maria Stella Chiera e Giuseppe Gervasi, conclude il gup, non ha neficiato delle attenuanti generiche «tenuto conto del comportamento processuale e della gravità del gesto compiuto e dell’intensità del dolo».(r.m.)