L’inchiesta della Dda reggina «'Ndrangheta stragista» è una pietra miliare. E sempre destinata a riscrivere un pezzo di storia italiana e aprire nuovi e inquietanti scenari su crimini dai contorni ancora oscuri. Le fondamenta dell’inchiesta sono apparsi solidi al gip che ha ordinato l’arresto di Giuseppe Graviano e di Rocco Filippone. «Quest’ultimo – ha detto il procuratore antimafia Federico Cafiero de Raho – è un soggetto significativo della ’ndrangheta sebbene sia stato a lungo “trascurato” dagli inquirenti».
Per portare a compimento la monumentale inchiesta, i magistrati e gli investigatori della Squadra mobile di Reggio Calabria, dello Sco, del Servizio centrale antiterrorismo, per oltre quattro anni hanno riletto carte e verbali di vecchie inchieste e ascoltato numerosi collaboratori, calabresi e siciliani, cercando riscontro alle loro dichiarazioni. Un lavoro certosino che ha portato a smontare in maniera definitiva quello che è stato l’assunto dominante in questi anni, e cioè che la 'ndrangheta fosse estranea alla stagione delle stragi mafiose. Tutt'altro. Dopo la decisione presa ad Enna da Totò Riina nel 1991 di dichiarare guerra allo Stato, i mafiosi intensificarono i contatti e le pressioni sui boss calabresi. Gli incontri si susseguirono, alla presenza di tutti i capi della 'ndrangheta, da Cosenza a Reggio Calabria, per chiedere l’esplicita adesione al programma autonomista e stragista. E alcune delle cosche più influenti della 'ndrangheta dissero sì: i De Stefano, i Libri, i Tegano di Reggio Calabria, i Coco Trovato e i Papalia di Platì. Ne nacque, per i magistrati della Dda, un asse operativo con quello che appare sempre di più un grumo di interessi politici ed economici attorno a cui ruotano servizi segreti deviati, massoni vicini a Gelli e organizzazioni criminali.
Secondo il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti «’ndrangheta e Cosa Nostra avevano messo a punto un disegno terroristico e mafioso che serviva per una finalità più alta, che prevedeva la sostituzione di una vecchia classe politica con una nuova, diretta espressione degli interessi mafiosi. Dopo il tramonto della Prima Repubblica e la lunga scia di sangue che ne ha segnato il trapasso – ha aggiunto Roberti – ’ndrangheta e Cosa nostra volevano mantenere il controllo assoluto sulla classe politica, proiettandosi su quella emergente nella nuova fase storica che si andava delineando. In questo quadro rientrava anche la decisione delle mafie di fare un attentato dinamitardo con un’autobomba nella terza decade del mese di gennaio del 1994 allo stadio Olimpico contro i carabinieri che avrebbe provocato, secondo chi lo aveva organizzato, almeno cento morti tra gli uomini dell’Arma, con effetti destabilizzanti per la democrazia».
Dalle carte dell’inchiesta coordinata dai pm Giuseppe Lombardo, Francesco Curcio e Antonio De Bernardo, emerge che Cosa Nostra e ‘Ndrangheta, nei loro disegni eversivi, sostenevano un assetto federalista dello Stato. Scrivono i magistrati: «La ’ndrangheta emerge non solo perchè era in stretti rapporti con Cosa Nostra, ma in quanto risultava particolarmente inserita in quei rapporti con la destra eversiva e la massoneria occulta, proprio in quel periodo stragista in cui entrambe le organizzazioni sostennero il disegno federalista attraverso le leghe meridionali».
Determinante l’acquisizione delle dichiarazioni rese nel corso di altri procedimenti penali soprattutto da Gaspare Spatuzza, già fedelissimo del mandamento di Brancaccio, «il quale – sottolineano gli inquirenti – ha vissuto dall’interno ed in modo completo tutta la vicenda delle stragi del ‘93 e del ‘94, dai progetti condivisi ai momenti esecutivi».