Il sindaco di San Procopio, Eduardo Lamberti Castronuovo, è stato prosciolto dal gip di Reggio Calabria dall'accusa di alunnia aggravata dalle modalità mafiose nei confronti di un giornalista del Quotidiano del Sud relazione alla vicenda del presunto "inchino" della statua del patrono del paese durante una processione nel luglio del 2014. A chiedere l'archiviazione era stata la stessa Dda di Reggio Calabria. Dalla stessa accusa sono stati prosciolti anche il vice sindaco, Antonio Cutrì, il parroco Domenico Zurzolo, ed il comandante della stazione dei carabinieri Massimo Salsano, quest'ultimo indagato per falsità ideologica.
Tutto era nato da un articolo nel quale si dava conto dell"inchino" della statua davanti alla casa del boss Nicola Alvaro e della successiva offerta di un obolo da parte della moglie. Lamberti Castronuovo aveva sostenuto che la notizia era falsa ed aveva presentato un esposto contro il giornalista che, a sua volta l'aveva querelato. Il pm di Reggio Calabria Luca Miceli, nella sua richiesta di archiviazione, scrive, che le indagini "consentivano di accertare la veridicità della notizia, poiché la p.g. riferiva che dall'esame delle video-riprese effettuate da una telecamera precedentemente posizionata innanzi all'abitazione di Alvaro si poteva scorgere chiaramente la statua del santo patrono fermarsi per 20 secondi esatti e la moglie avvicinarsi per renderle omaggio".
"Secondo gli indagati - scriva ancora il pm - gli appena venti secondi di sosta della statua del Santo in prossimità della casa del boss Alvaro non differirebbero in nulla rispetto alle analoghe soste effettuate ordinariamente durante la processione, anche perché andrebbe distinta la fase della sosta in prossimità dell'abitazione da quella, svoltasi qualche metro più avanti e comunque non sotto la loro visuale, durante la quale la donna avrebbe riposto l'offerta votiva. Lamberti Castronovo contesta l'accostamento tra questa vicenda e quella avvenuta qualche giorno prima ad Oppido Mamertina in quanto i fatti di San Procopio non andrebbero letti come espressione di un omaggio o di un inchino della statua al boss, ma al contrario, come l'omaggio del fedele, seppure nel caso di specie moglie di uno 'ndranghetista, al Santo Patrono, come risulta essere avvenuto da parte di altre decina di persone. Tali considerazioni, non smentibili attraverso gli elementi raccolti agli atti, sono anche avvalorati dal fatto che la moglie si era trasferita in quella abitazione da poco tempo e che il marito vi veniva collocato in detenzione domiciliare solo dopo i fatti in questione. Da ciò - conclude il pm - deriva la difficoltà di smentire gli indagati che hanno dichiarato all'unisono di non aver posto particolare attenzione all'una piuttosto che all'altra abitazione in prossimità della quale si era fermata la statua a richiesta del fedele di turno, come avviene da secoli, proprio perché tale prassi non era da loro intesa come un 'inchino o un omaggio' ma, ed al contrario, come mero ossequio del fedele al Santo Patrono".