«Pure quello dell’agenzia me lo ha detto! Mi ha detto, “se vuoi fare come loro”…! Mi ha detto, “li troviamo a due che ci finanziano”, ha detto …».
È un passaggio di una conversazione intercettata dai carabinieri nell’agosto del 2013 nel corso dell’operazione “Mandamento Jonico” all’interno di un’autovettura dove stavano dialogando due imprenditori di Locri sulle “dinamiche” del settore edilizio cittadino.
L’unico inconveniente era ravvisabile nel rapporto “societario” che, de facto, si andava ad instaurare con i due sodalizi mafiosi operanti a Locri, quello dei Cataldo e quello dei Cordì, «… Ma poi diventiamo tre, quattro, cinque soci! …» che, per come ipotizzato dagli inquirenti, interagivano sul tessuto economico locale “in comunione tra loro”. « No, ma loro oggi tutti e due mangiano nella stessa pentola! …E ti dico che si, “ponnu fare non mu si virinu” sono cose, però i patti sono che mangiano nella stessa pentola».
Uno degli imprenditori intercettati sarebbe stato in grado di spiegare in ogni dettaglio all’altro interlocutore anche le percentuali che sarebbero alla base dell’illecito sovvenzionamento che, in merito a quel lavoro, avrebbe portato nella casse della cosca circa il 10% del valore complessivo dell’opera, risultato percentuale dovuto dalla somma del classico 3% spettante a titolo di estorsione e del restante 7% quale corrispettivo della somma di denaro finanziata «…Si solo là, no, loro hanno fatto questo discorso, dice, il tre glielo devono dare, poi gli prestano i soldi e gli danno gli altri sette…».
Il trattamento sarebbe divenuto prassi consolidata da parte delle due cosche di Locri tanto che la sua pratica era ormai notoria nell’ambiente imprenditoriale locale. «…Si, sono, chi me l’ha detto, sono tre, quattro tutti diversi! Pure quello dell’agenzia me l’ha detto!».
In questo stato di cose uno dei conversanti individuava delle ditte che, agendo sotto l’egida delle due consorterie del luogo, stavano monopolizzando il mercato edilizio di Locri ma, rispetto ad esse, riteneva più propizio rinunciare a lavorare che scendere a compromessi con le due famiglie criminali: «E ora infatti stanno appaltando tutte e due le ditte là, uno che fanno lavori di sub appalti e cose, ed uno che fanno villette per venderseli, ma è meglio. Stare fuori e “’mbuzzonarsi”…».
Quel sentimento di “rifiuto” nei riguardi delle due cosche, probabilmente nasceva dal colloquio intercorso qualche mese prima, nel giugno del 2013, tra l’imprenditore con un altro soggetto che, intercettato nei pressi del “pergolato di preghiera” di Locri, gli avrebbe sottolineato il fatto che ci si doveva rivolgere «ai “responsabili” mafiosi di zona che, per le rispettive cosche», aggiungendo inoltre: «Se tu parli con questi, significa che devi stare ai “cazzi” che dice uno e che dice l’altro. Cioè per quale motivo…? Tu sei una persona onesta, capisci qual è il discorso? Certo che hai bisogno di lavorare, certo che hai bisogno di lavorare, come hanno bisogno tutti di lavorare. Qua il lavori se li sono appropriati l’uno e l’altro. Purtroppo è così, hanno i “cazzi” tutti nelle mani loro».