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’Ndrangheta stragista, la Corte dice sì ai familiari delle vittime come parti civili

’Ndrangheta stragista, la Corte dice sì ai familiari delle vittime come parti civili

Stragi per intimidire e ricattare lo Stato sull’asse Reggio-Palermo; attentati ai Carabinieri per imporre i progetti della cupola calabrese-siciliana. L’alleanza tra ’ndrangheta e mafia, nata per contribuire ad alzare il tiro nella stagione stragista voluta da Totò Riina agli inizi degli anni Novanta e poter ricattare lo Stato con cui si sarebbe voluto avviare una trattativa per ammorbidire la normativa antimafia, sarà al centro del processo avviato ieri in Corte d’Assise a Reggio (presidente Ornella Pastore, giudice a latere Bellini). Due gli imputati, i referenti del patto criminale: Rocco Santo Filippone, 77 anni, in quegli anni di terrore a capo del mandamento tirrenico della ’ndrangheta reggina e ancora oggi, secondo le convinzioni della Procura distrettuale antimafia, il vertice dell’omonima ’ndrina costola della dinastia mafiosa “Piromalli” di Gioia Tauro; e il 54enne Giuseppe Graviano, capo del mandamento mafioso di Brancaccio Palermo, e regista delle «stragi continentali» di Firenze, Roma e Milano. Il primo era presente ieri in Corte d’Assise a Reggio; il secondo, detenuto al “41 bis”, ha particpato in videocollegamento dal supercarcere di Terni.

Superata la prima eccezione preliminare, formalizzata dagli avvocati Giuseppe Aloisio (per Graviano), Sergio Contestabile e Angelo Sorace (per Filippone) sul «parziale svolgimento dell’interrogatorio di garanzia a Giuseppe Graviano», ma risolta, dopo una approfondita camera di consiglio dai Giudici che hanno concluso «come la richiesta di rito immediato custodiale sia stata preceduta da un valido interrogatorio di garanzia atteso che sebbene non analiticamente contestati, Graviano sia stato messo in condizione di conoscere ed esplorare quanto ritenuto utile per la sua difesa», è stato incardinato il processo, che proseguirà con il rito ordinario per entrambi gli imputati (ancora ieri, prima udienza del giudizio immediato, sarebbe stato possibile scegliere riti alternativi). Ammesse in blocco le parti civili: i familiari degli dell’Arma uccisi dal fuoco della criminalità organizzata, gli appuntati Antonino Fava e Giuseppe Garofalo (rappresentati tra gli altri dell’ex magistrato adesso avvocato, Antonio Ingroia, e dal penalista Giuseppe Basile), ma anche i familiari di altri servitori dello Stato nel mirino dei progetti stragisti, da Bartolomeo Musicò al brigadiere Salvatore Serra, il carabiniere Vincenzo Pasqua (difeso dall’avvocato Massimo Leanza) e l’appuntato Silvio Ricciardo. Tra le parti offese ammesse al processo la Regione Calabria, i Comuni di Reggio, Rosarno e Melicucco, i ministeri della Difesa e degli Interni.

Ultimo passaggio, prima di definire il calendario delle sedute processuali (due a settimane, a partire dal 13 novembre) e di autorizzare le riprese audio e video «solo nelle udienze conclusive, a partire della requisitoria del Pubblico ministero», si è proceduto alla produzione della lista dei testi. Che saranno numerosi come anticipato dal procuratore aggiunto della Direzione distrettuale antimafia di Reggio, Giuseppe Lombardo, e i legali dei due imputati.

Decine i pentiti - di ’ndrangheta e mafia - che sfileranno sugli scranni dei testi per ricostruire gli anni in cui nella provincia di Reggio si uccise per onorare un accordo “riservato” tra cosche calabresi e Cosa nostra per fare guerra allo Stato.

Il processo nato dall’inchiesta “Ndrangheta stragista” è destinato a riscrivere una pagina centrale della recente storia italiana. Sul punto non ha dubbi l’avvocato Antonio Ingroia: «Perché, tra le altre cose, dovrà dimostrare che 'ndrangheta e Cosa Nostra erano alleate e che per la prima volta si misero insieme per uccidere uomini dello Stato. La ’ndrangheta calabrese è oggi l’organizzazione criminale più potente al mondo e lo è diventata anche grazie agli accordi con Cosa Nostra di Giuseppe Graviano, che è tra gli imputati di questo processo e che è responsabile delle stragi del ’92 e del ’93. Le vedove dei due carabinieri uccisi (Fava e Garofalo) speravano in un processo che trovasse esecutori e mandanti dell’omicidio dei loro mariti ben 23 anni fa. Forse, dopo tanti anni, finalmente ci siamo».

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