In origine erano quattro inchieste, poi sono confluite in una sola e hanno consentito ai magistrati della Dda reggina di mettere a soqquadro l'ordine costituito dalla 'ndrangheta nel versante jonico reggino e di riaffermare con decisione la presenza dello Stato. Con l'operazione “Banco Nuovo” il procuratore Federico Cafiero de Raho e l’aggiunto Giuseppe Lombardo hanno confermato l'essenza verticistica della 'ndrangheta e hanno certificato che da questa impostazione indietro non si torna. Polizia e Carabinieri hanno lavorato insieme, senza sovrapposizioni, e hanno ottenuto un grande risultato mettendo alle corde la ’ndrangheta radicata in Africo Nuovo, Motticella, Bruzzano Zeffirio e Brancaleone con 37 arresti e 9 obblighi di dimora.
Il “Banco nuovo”
Dalle indagini parallele di Polizia e Carabinieri sono emersi i nuovi assetti organizzativi delle cosche, rimodulati dopo la “pace” instaurata tra le cosche dopo la sanguinosa faida di Africo-Motticella, che aveva visto affermarsi i gruppi “Palamara-Scriva” e “Mollica-Morabito”. La rimodulazione degli assetti (funzionale al controllo dei pubblici appalti) è stato riscontrato nelle indagini che hanno interessato Brancaleone, documentando come il processo di riorganizzazione abbia dato origine a un “Banco nuovo”, cioè una nuova locale voluta da rampolli impazienti che volevano avere una loro dimensione nel “feudo” dei Morabito di Africo. È stata anche accertata la persistente intrusione della ‘ndrangheta nella gestione dei lavori pubblici, sia per quanto concerne il movimento terra, il trasporto e la fornitura di materiali inerti, sia con riferimento alla fornitura di mezzi e di manodopera, oltre che al pesante condizionamento delle istituzioni.
Comune ostaggio
Al “Banco nuovo” di Brancaleone sarebbero affiliati i fratelli Annunziato, Pietro e Giuseppe Alati, con un ruolo di assoluto rilievo nel condizionamento delle scelte dell’amministrazione comunale, che doveva piegarsi ai voleri degli Alati per i lavori di movimento terra, pulizia strade e aree verdi, acquedotti e fognature, che attraverso continue e ripetute minacce ha sistematicamente sbaragliato la concorrenza di altri imprenditori del settore, monopolizzando il mercato e aggiudicandosi ogni pubblica commessa. Le indagini hanno restituito, impietosamente, l’immagine di un comune, quello di Brancaleone, di fatto ostaggio dei componenti della famiglia Alati e dei loro metodi tipicamente mafiosi:
Le soglie
Nel corso dell’indagine sviluppata dai Carabinieri è stata documentata l’esistenza di specifiche intese per la spartizione degli appalti, riservando quelli superiori alla soglia di 140 o 150mila euro esclusivamente alla locale di Africo, quella “nobile” dei Morabito, mentre quelli al di sotto di tale soglia sarebbero rimasti appannaggio delle cosche del territorio, senza alcuna ingerenza africota. «Ciò dimostra – ha spiegato il procuratore aggiunto Lombardo – l’ordine verticistico della ’ndrangheta. Con alcuni che contano più di altri anche nella spartizione dei loro affari». Non sono mancate, tuttavia, eccezioni alla regola, magari determinate dall’avidità degli affiliati: l’appalto che prevedeva il consolidamento del cimitero di Brancaleone, nonostante l’importo dell’opera fosse decisamente inferiore a quello della soglia stabilita, la cosca africese riusciva a inserirsi nella gestione indiretta dell’appalto; oppure nei piccoli lavori di manutenzione della caserma dei Carabinieri, per i quali preventivi accordi orientati dagli affiliati determinavano l’aggiudicazione a favore di una impresa compiacente, che lasciava eseguire l’opera a soggetti indicati e che canalizzava la remunerazione dell’appalto all’affiliato che si era adoperato per l’intermediazione.
Ecco i “Cumps”
Le indagini della Polizia di Stato hanno consentito di individuare gli appartenenti al gruppo criminoso riconducibile a Nicola Falcomatà e a Paolo Benavoli, che erano dipinti come soggetti che manifestavano insofferenza per gli africoti con l’ambizione di affermare la loro supremazia sul territorio di Brancaleone. Un altro filone della medesima indagine consentiva ai maigistrati della Dda di dare una chiave di lettura alla recrudescenza dei fenomeni criminali nel territorio di Brancaleone in quel periodo, collegando gli stessi alla costante presenza in quel Comune di appartenenti alla criminalità organizzata africese, che si sono lì stabiliti, inquinando il tessuto sociale della cittadina jonica, anche attraverso l’acquisizione di attività economiche sane e floride. E una buona parte dei cittadini di Brancaleone ha dimostrato di preferire di rivolgersi ai “Cumps” (i nuovi cumpari), piuttosto che denunciare.
Traffico di droga con la Sicilia
Sempre nella parte di indagine curata dalla Polizia di Stato è stata evidenziata anche una articolata attività nel campo degli stupefacenti, riconducibile sempre ai “Cumps”, ovvero all’articolazione dell’associazione mafiosa di ultima generazione sorta sul territorio di Brancaleone e territori limitrofi. Le indagini, infatti, hanno permesso di mettere in risalto i ruoli di soggetti che nel comprensorio brancaleonese ponevano in essere attività di traffico di sostanze stupefacenti che, per una parte, si sono compiute in Sicilia e nel comprensorio di Bagnara Calabra. Le attività investigative, infatti, si sono sviluppate attraverso una intensa e proficua attività tecnica nel corso della quale la Polizia di Stato ha avuto modo di delineare numerosi e specifici episodi da cui sono emersi riferimenti espliciti allo spaccio di stupefacenti.