Finanziamenti comunitari, affari inconfessabili e interessi politici. E, sullo sfondo, la “bella del regime” e l’ombra sinistra della mafia più potente del vecchio continente: “mamma’ndrangheta”. Ján Kuciak stava lavorando da mesi a una scottante inchiesta sul pagamento illegittimo di fondi europei ad un gruppo di calabresi residenti in Slovacchia. Il giornalista investigativo assassinato insieme con la fidanzata Martina Kusnirova, sospettava che gli italiani avessero legami con la ’ndrangheta. S’era comprato persino dei volumi, drammaticamente rimasti sulla sua scrivania di redazione, che raccontano della storia e degli interessi della mafia calabrese nel mondo. Personaggio centrale del lavoro svolto dal reporter è Antonino Vadalà, originario di Bova Marina, imprenditore nel settore del fotovoltaico, amico e socio in affari di Maria Troskova, primo consigliere di Stato del premier Robert Fico. I due s’incontrano nel 2011 e la bella Troskova (ex fotomodella e finalista di Miss Mondo 2007) decide con il calabrese di fondare un’azienda impegnata a far profitti nel settore del fotovoltaico. Jan, incrocia dati, compie visure commerciali, verifica il flusso di ingenti fondi strutturali europei non solo verso la “compagnia” creata dalla slovacca e dall’italiano ma pure a favore di compagini societarie riconducibili ad altri calabresi residenti nella nazione dell’est europeo. Kuciak annota nomi e cognomi e chiede aiuto ai colleghi italiani per capire se si tratti di persone legate a famiglie con trascorsi discutibili. Scopre dati significativi e ipotizza i legami con la ‘Ndrangheta. Non solo: monitorando gli imprenditori s’accorge che sostengono e invitano a votare per lo “Smer“, il partito di governo, quello del premier Fico. Il ruolo di Antonino Vadalà intanto cresce: l’uomo compare nel managment di 32 aziende, dieci delle quali operanti nelle energie rinnovabili. Maria Troskova, però, lascia l’azienda fondata con Vadalà nel giugno del 2012 e comincia la sua carriera “politica”; Vadalà, invece, l’abbandona nel 2015, e l’azienda passa nelle mani di Pietro Catroppa. che nel 2016 diventerà titolare della “Prodest” insieme con Viliam Jasan, ex parlamentare e personaggio influente dello “Smer” che, nel frattempo, diventa responsabile del Consiglio per la sicurezza dello Stato nel governo guidato da Fico. È proprio con Jasan che l’affascinante Troskova mette piede direttamente nei palazzi del potere diventando prima sua assistente e, poi, consigliere del capo del governo. Ma la “Prodest”, per ordine della magistratura inquirente di Bratislava, nel 2017, viene monitorata dai servizi segreti slovacchi. C’è qualcosa in quella società che non convince i magistrati e Jan Kuciak ne viene a conoscenza. Il reporter ucciso mette il naso nei business che, sia nel comparto agricolo che in quello del fotovoltaico, vedono insieme oppure rivelano collegamenti tra i calabresi e note personalità politico-istituzionali. I finanziamenti della Ue arrivano a pioggia nelle casse di piccole e grandi aziende. Al cognome Vadalà, il giornalista aggiunge nelle sue ricerche quelli dei Rodà e dei Catroppa, originari della provincia di Reggio, e dei Cinnante, provenienti dal Cosentino. Ma è sempre Antonino Vadalà a rimanere al centro dei suoi pensieri. Il giornalista scopre che alcuni dipendenti di una ditta agricola di Trebisov, concorrente di Vadalà, hanno subito minacce “singolari”, non certo riconducibili alla subcultura criminale del suo Paese: corone mortuarie e proiettili di fronte ai cancelli. Il calabrese compare anche nelle carte di un’altra inchiesta, questa volta in Italia, che si apre proprio nel periodo del suo trasferimento in Slovacchia. Gli inquirenti ne ottengono la condanna per aver offerto aiuto al latitante Domenico Ventura. Ieri la polizia slovacca, nell’ambito delle indagini condotte sull’omicidio di Kuciak e costate già le dimissioni alla Troskova e Jasan, ha fermato sette persone nate nella terra della ’ndrangheta. Si tratta dei fratelli Bruno, Antonino e Sebastiano Vadalà, 40, 42 e 45 anni, e del cugino Pietro Catroppa, 51 anni; Diego e Antonio Rodà, 62 e 58 anni, e un secondo Pietro Catroppa, di 26 anni. tutti di Bova Marina e Africo Nuovo. Il blitz è scattato nelle città di Michalovce e Trebišov. Quali siano le precise accuse loro contestate non è chiaro. E fino a quando le imputazioni non saranno ben definite devono essere naturalmente considerati innocenti.
Il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, ha detto che l’eventuale responsabilità della ’ndrangheta nell’uccisione del giornalista slovacco e della fidanzata sarebbe «il più grave errore commeso dalla mafia calabrese dopo Duisburg». Il procuratore di Reggio, Gaetano Paci, ha invece sottolineato che il suo ufficio da tempo aveva comunicato agli organi di polizia internazionale e alla polizia slovacca la necessità di monitorare le attività degli italiani fermati ieri. Troppi soldi e troppi affari nell’Est europeo