A Giuseppe Jerinò, inteso “manigghjia”, è stato applicato il regime del carcere duro. Le disposizioni, contenute nel decreto che porta la firma del ministro della Giustizia hanno efficacia per quattro anni.
Giuseppe Jerinò è stato arrestato nel settembre del 2014 nell’ambito dell’operazione antidroga “Ulivo 99” sulla base della quale, a seguito del processo che si è tenuto con le forme del rito ordinario, è stato condannato nel luglio dello scorso anno in primo grado a 30 anni di reclusione. Jerinò, inoltre, è sottoposto a misura cautelare in un altro procedimento penale, in cui risponde di associazione mafiosa, per il quale è in corso il processo davanti al Tribunale di Locri.
La procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria, nella richiesta di applicazione del 41bis, ha evidenziato: «Dalla lettura delle risultanze procedimentali e dibattimentali finora acquisite, emerge chiaramente l’intraneità di Giuseppe Jerinò nel paradigma associativo tanto mafioso, quanto finalizzato al traffico di stupefacenti, nella qualità di organizzatore e promotore». Per la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo: «Le risultanze – processuali nel primo caso investigative nel secondo – hanno consentito di delineare con puntualità il ruolo direttivo mantenuto dallo Jerinò all’interno della consorteria, con riguardo, in primis, al traffico degli stupefacenti, ma anche rispetto alle altre attività criminose, concretizzatesi, in buona sostanza, nel controllo, in vario modo, di buona parte delle attività economiche del territorio gioiosano». Nell’interesse di Jerinò l’avv. Caterina Fuda ha preannunciato reclamo contro il decreto ministeriale.
Secondo la Dda
«Insostituibileruolo direzionaledella cosca»
La “caratura” criminale di Giuseppe Jerinò, secondo la Dda reggina «è efficacemente descritta nei provvedimenti giurisdizionali dai quali emerge in modo chiarissimo come lo stesso svolga un insostituibile ruolo direzionale del sodalizio criminale».
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