Sarebbero arrivati killer anche dalla Puglia a Locri per “vendicare” l’omicidio di Giuseppe Cataldo, ucciso a 36 anni nel febbraio del 2005. È quanto emerge da un verbale reso nel luglio del 2015 da un collaboratore di giustizia, C.F. originario di San Pietro a Maida (Catanzaro) che ha raccontato quanto si sua conoscenza sulle dinamiche “torinesi” del clan locrese dei Cataldo. La dichiarazioni fanno parte dell’informativa del 22 maggio 2017 chiamata “Indagine Blu Notte”, dei carabinieri del Ros di Reggio Calabria, seconda sezione, e sono agli atti del procedimento “Mandamento Ionico”.
L’omicidio di Giuseppe Cataldo, secondo i magistrati della Procura antimafia reggina, avrebbe portato alla “ripresa” della faida di Locri tra le opposte consorterie dei Cataldo e dei Cordì che sfociò quello stesso anno nell’assassinio di Salvatore Cordì “u cinesi”, ammazzato a Siderno il 31 maggio 2005.
In relazione alla faida di Locri il collaboratore, per richiamare alla memoria i suoi ricordi, fissava come capisaldi la nascita del figlio e il periodo di detenzione domiciliare che stava espiando in quegli anni. La morte di Cataldo avrebbe indotto un suo prossimo congiunto che stava nel Torinese a chiedere il suo sostegno: «... sì, venne a casa mia... e l’ho visto anche abbastanza turbato e mi disse che era stato ucciso suo (...) Peppe, giù in Calabria...». In tale circostanza, quindi, C.F. aveva appreso nel dettaglio anche le modalità con cui era stato perpetrato il delitto da parte della famiglia Cordì: «Ehh... mi disse che era stato ucciso da elementi della famiglia Cordì, che erano stati ad aspettare o comunque aspettare suo (...) erano stati ospitati da un suo vicino, che abitava vicino casa dei genitori, perché Peppe abitava con i genitori, e mi disse che tra l’altro, ecco perché ho descritto nel dettaglio, che era stato sparato da un proiettile in fronte... mi aveva detto questo, che avevano sparato diversi colpi ma un solo proiettile lo aveva raggiunto in testa ed era morto, per questo...».
I guai giudiziari che in quel momento stava vivendo il collaboratore, trovandosi in regime di detenzione domiciliare, costituivano il motivo per il quale si chiamava fuori dalla mischia: «Mi aveva chiesto di partecipare a questa vendetta, che avrebbe anche partecipato, io lui e dei ragazzi, che poi francamente io non ci sono andato perché non potevo, con quel regime a cui ero, e un bambino piccolo, non sarei mai andato a immischiare in una cosa del genere, forse in altri tempi, con altri... boh non lo so, però in quel momento no».
Comunque, aveva appreso che altre persone di origine pugliese, erano state “reclutate” da un Cataldo: «E mi disse che andarono anche degli amici di suo cugino, che arrivavano dalla Puglia e che andavano a compiere questa azione».
A domanda del pm («Ma lì a Locri sapevano di questo progetto? Lo facevano con l’accordo di quelli di Locri?) C.F. risponde: «Beh, sicuramente perché gli altri pugliesi dovevano andare a Locri e quindi dovevano mimetizzarsi ed essere ospitati a Locri per poter fare un’azione del genere, non si fa così su due piedi una cosa così».
Un dato che il collaboratore poteva dedurre da quanto appreso, era, secondo gli investigatori «lo stile “mafioso” con cui i Cataldo stavano organizzando la vendetta - che doveva rappresentare, per il sodalizio, una manifestazione di forza»: volevano fare una cosa «veramente in grande stile».(r.m.)
I due delitti
Era il 31 maggio del 2005 quando in via Cesare Battisti a Siderno un killer sparò contro Salvatore Cordì detto “u cinesi”, uccidendolo. Il sicario aveva raggiunto la vittima a bordo di uno scooter guidato da un complice. La Procura reggina subito inquadrò il delitto nella ripresa della faida di Locri, tra i Cataldo e i Cordì. Poche settimane prima, il 15 febbraio 2005 a cadere era stato infatti Giuseppe Cataldo.
Entrambi gli omicidi sono rimasti finora senza un colpevole. Nei mesi scorsi il collaboratore di giustizia Domenico Agresta aveva riferito il nome del presunto killer di Cordì indicandolo in un «Antonio Cataldo». Mentre adesso spunta un altro collaboratore, F.C., originario del Catanzarese ma attivo nel Torinese, che riferisce di un “gruppo pugliese” che sarebbe intervenuto per “vendicare” Cataldo. L’ uomo non è stato in grado di rivelare l’obiettivo della vendetta. Che tuttavia potrebbe essere stato proprio il “cinese”.