Reggio Calabria
L’inchiesta sul business del bracconaggio a Reggio è tutt’altro che chiusa. Procura e Carabinieri Forestali non si fermano per ricostruire le dinamiche illegali dell’organizzazione smantellata con l’operazione “Freewildlife” (otto indagati, di cui sette ai domiciliari e l’unica donna coinvolta raggiunta da misura di obbligo di dimora) su due direttrici d’azione: da un lato smascherare l’ulteriore rete dei complici e contestualmente perimetrare il raggio d’azione con «proiezione transnazionale» alimentando un mercato illegale che aveva conquistato Malta per i volatili vivi, e il nord Italia (Veneto e Lombardia), per gli animali uccisi e destinati al settore ristorazione.
Gli investigatori dell’Arma stanno inoltre scavando sui notevoli ricavi dell’organizzazione. Un business da capogiro. Dati alla mano, secondo i militari del nucleo operativo antibracconaggio e reati a danno degli animali, il sistema avrebbe consentito ai bracconieri di catturare «per ogni postazione, non meno di 200/300 esemplari al giorno, per un valore sul mercato clandestino oscillante da 25 a 100 euro a seconda della specie (un cardellino fino a 50 euro; un verdone da 25 a 50 euro; un frosone con quotazioni che arrivavano a 100 euro; un verzellino da 25 a 50)».
Numero di persone coinvolte e cifre da ricavi dell’affare che ha consentito alla Procura di alzare il tenore delle accuse. Il gruppo risponde infatti di associazione perchè, come rimarcato dallo stesso procuratore di Reggio, Giovanni Bombardieri, «questa indagine ha svelato l’esistenza di un’organizzazione nella quale esistevano compiti e ruoli specifici e non un “semplice” gruppo di persone legate al fenomeno del bracconaggio». (r.rc.)