«Desidero ribadire la mia ferma condanna verso chi in questo Santuario è venuto nonostante conservasse in cuore propositi di male senza che alcuna intenzione di fede e di preghiera. Questi l’hanno profanato e hanno contribuito a creare un’immagine distorta della religiosità mariana e del nostro santuario. Hanno fatto credere che si potesse essere nello stesso tempo devoti di Maria e operatori di morte. Essi non meritano sconti di pena. Per il male fatto a questa terra, vera periferia dell’Italia e non solo, la condanna nei loro confronti è senza appello, definitiva».
E’ uno dei passaggi dell’omelia tenuta dal Vescovo di Locri-Gerace, mons. Francesco Oliva, al Santuario della Madonna della Montagna di Polsi, nel territorio di San Luca, indicato in diverse inchieste della magistratura come luogo d’incontro - in concomitanza con la festa dell’1 e 2 settembre - delle cosche per decidere di affari e strategie. «In questa terra - ha aggiunto il presule durante la messa per il raduno delle pro loco - purtroppo c'è tanto male ma ci sono anche tante risorse di bene. C'è chi s'è piegato alla seduzione della 'ndrangheta4 e della criminalità, ma c'è anche chi vive onestamente del suo lavoro e di tanta povertà. Questo Santuario è una porta aperta, attraverso la quale entrano tutti: non c'è da pagare alcun biglietto d’ingresso né si chiede la carta d’identità a chi desidera entrare. Questo santuario è come una rete da pesca che raccoglie pesci buoni e pesci cattivi».
Mons. Oliva ha poi parlato del «pregiudizio che è un modo errato di relazionarsi con gli altri. Senza conoscere, si danno etichette, si catalogano le persone secondo schemi artefatti e miopi. Quasi sempre poi la realtà fa venire fuori la verità, smantella le bugie, gli inganni che si erano formati con il pregiudizio». C'è chi, ha proseguito «venendo qui pensa di incontrare il male fattosi persona, una comunità di malfattori. Pensa di incontrare bambini col tatuaggio dello scorpione. Qui ci sono bambini normali, intelligenti. Ragazzi che amano la vita e desiderano superare il complesso di abitare una terra maltrattata e dimenticata».
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