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Ieri in carcere, oggi imprenditore agricolo

Ieri in carcere, oggi imprenditore agricolo

Una “canna al vento” dagli occhi chiari. Così si presenta G.D., 48 anni e oggi prossimo a diventare imprenditore agricolo insieme alla sua compagna, ieri recluso nel carcere minorile di Reggio Calabria «proprietario solo delle robe che mi portavo addosso». Nel mezzo un cammino di maturazione e incontri con adulti autorevoli, credenti e soprattutto “credibili”.

Abbiamo incontrato il nostro interlocutore da Mario Nasone nella sede dell’Agape, l’associazione che ha favorito questo cammino e che oggi si sta spendendo per sostenere “Liberi di scegliere”, il progetto speciale che il Tribunale per i minorenni presieduto dal giudice Roberto Di Bella da 4 anni sta portando avanti. Un’iniziativa volta a offrire ai figli dei mafiosi un’alternativa di speranza al vortice demoniaco fatto di illusione, affiliazione, sopraffazione, inganno, carcere e morte.

G.D. ha incontrato Di Bella dopo 12 anni che mancava da Reggio e una vita, la seconda, fatta di grandi sacrifici in Lombardia come operaio edile. Adesso con i soldi messi da parte ha comprato un terreno, si è costruito una casa e aspetta di raccogliere i frutti di quanto ha seminato. E si volta indietro per guardare la strada tortuosa che l’ha portato al suo noccioleto. Soprattutto il primo tratto di strada, quello in cui è cresciuto fino all’arrivo dei carabinieri che un giorno lo arrestano appena sedicenne per favoreggiamento di un pezzo da 90 della ’ndrina locale. «Quell’arresto fu la mia fortuna perché determinò una svolta importante nella mia vita». Dieci mesi nel carcere minorile di Reggio dove fra una partita a carte con il sacerdote e le altre attività previste nell’istituto, G.D. trova il tempo e il modo di riflettere sulla sua vita. Poi il primo incontro significativo, quello con don Italo Calabrò, di casa nell’istituto per quella sua passione verso il Vangelo incarnato: «Ero in carcere e siete venuti a trovarmi…».

L’adolescente inquieto e il sacerdote parlano a lungo e recuperano il vuoto valoriale che ha segnato i primi anni di vita del ragazzo: «I miei genitori erano persone perbene – tiene a precisare – ma assenti perché con la schiena spaccata nei campi».

Su quel primo incontro se ne innestano altri. Il primo con Franco, un altro uomo di poco più grande, dai lineamenti scolpiti come un apache, anche lui segnato dalle vicissitudini della Piana. Sa cosa prova G.D. lo prende con sé fuori dal carcere e gli dà una prima stabilità. Poi arriva il suo opposto. Un giovane studente bocconiano calato dal Nord per il servizio civile, longilineo, con gli occhiali e il sorrisetto saccente: Francesco Silvestri. A lui don Italo lancia una sfida: «Vuoi fare la rivoluzione? Comincia da qui». E Francesco raccoglie la sfida e comincia con G.D. un percorso formativo e di avviamento al lavoro che porterà il nostro interlocutore lontano da Reggio e soprattutto dal suo paese dove nel frattempo scoppia una faida sanguinosa che coinvolge pure la sua famiglia.

I dieci mesi in carcere hanno fatto “curriculum” e i capibastone delle ’ndrine lo vorrebbero assoldare. I tentativi di riavvicinamento non mancano ma G.D. con i suoi occhi chiari vede lontano e respira aria pulita. Resta al Nord a sporcarsi le mani col cemento di giorno e a riflettere con Silvestri sui valori, le sfide e le prospettive di una vita diversa. Nascono spontaneamente altre relazioni, altri incontri, altre amicizie. Si crea una rete in cui G.D. dà e riceve fino a crearsi una famiglia, a portare su sua madre, a creare ulteriori occasioni di riscatto per altri. Perché chi è consapevole di aver ricevuto gratuitamente sente poi il bisogno di condividere altrettanto gratuitamente.

A distanza di oltre trent’anni dal suo arresto G.D. ha un ancora desiderio da realizzare. Incontrare i ragazzi che si trovano in carcere o su strade sbagliate per testimoniare la validità dell’intuizione che sta alla base del progetto del presidente Roberto Di Bella. Dire a questi ragazzi delle cose molto semplici: «Abbiate coraggio, affidatevi all’Agape o al Tribunale per i minorenni. Fidatevi e Confidate!». E poi vorrebbe parlare anche ai capimafia o, ancora di più, alle madri e alle mogli degli ’ndranghetisti: «Fate qualcosa per loro, per i vostri figli, voi che siete passati attraverso l’inganno della galera e della morte. Si può vivere serenamente con poco e ci si può realizzare come uomini e come donne. Il rispetto delle persone c’è quando ti stimano per quello che sei e non perché tutti hanno paura di te».

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