Il Comando Provinciale di Reggio Calabria ha dato esecuzione nelle provincie di Reggio Calabria, Catania. Cosenza, Vibo Valentia, Ancona, Bologna, Udine e Pavia a 5 ordinanze di custodia cautelare emesse dall’Ufficio del GIP del Tribunale di Reggio Calabria, su richiesta della locale Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia – diretta dal Procuratore della Repubblica Giovanni Bombardieri, nei confronti di 45 soggetti appartenenti o contigui alle cosche “CACCIOLA” e “GRASSO”, radicate nella Piana di Gioia Tauro e riconducibili alla società di Rosarno del mandamento tirrenico della provincia di Reggio Calabria, ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, tentato omicidio, estorsione, porto e detenzione di armi comuni e da guerra, corruzione in atti giudiziari, produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti, danneggiamento, minaccia, intestazione fittizia di beni, impiego di denaro beni o utilità di provenienza illecita, violazione degli obblighi della sorveglianza speciale, aggravati da modalità mafiose o perché funzionali ad agevolare il sodalizio mafioso.
Il provvedimento odierno conferma in toto l’impianto accusatorio dell’indagine, avviata nel settembre 2017 dai militari del Nucleo Investigativo del Gruppo Carabinieri di Gioia Tauro sotto la direzione della locale Direzione Distrettuale Antimafia, con il coordinamento del Procuratore Aggiunto Gaetano Calogero PACI e del Sostituto Procuratore Adriana SCIGLIO, che il 9 luglio scorso ha consentito di sottoporre a fermo di indiziato di delitto 32 soggetti, ritenuti essere gli elementi di spicco delle articolazioni territoriali della ‘ndrangheta “CACCIOLA” e “CACCIOLA-GRASSO”, entrambe attive in Rosarno.
In particolare sono stati ricostruiti gli assetti e gli equilibri interni ed esterni alla cosca CACCIOLA, documentati nel corso tempo grazie alle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia ed attualizzati dall’articolata attività investigativa, convenzionalmente denominata “ARES”, che ha accertato come l’originaria compattezza della cosca si fosse affievolita già dopo la scomparsa di CACCIOLA Domenico, avvenuta nel 2013, ucciso, dai suoi sodali per lavare l’onta di una relazione extraconiugale intrattenuta con una donna riconducibile ai “BELLOCCO”, BELLOCCO Francesca, anche lei vittima di omicidio per mano del figlio, BARONE Francesco, recentemente condannato per tale delitto.
Le misure in esecuzione delineano altresì le posizioni di ulteriori 7 soggetti (5 in carcere e 2 agli arresti domiciliari) non contemplate nel fermo del 9 luglio con ruoli di rilievo nel perseguimento degli interessi illeciti delle due cosche rosarnesi. In particolare emergono le responsabilità penali attribuibili alle “donne del clan”, VIRGIGLIO Anna Maria1, VIRGIGLIO Antonietta2 e GRASSO Marilena3, tutte legate da vincoli parentali strettissimi con i vertici della cosca “CACCIOLA-GRASSO”, che con le loro condotte hanno apportato un contributo sostanziale al perseguimento dei fini illeciti dell’articolazione mafiosa.
Queste, infatti, hanno dimostrato di essere pienamente inserite nei meccanismi illeciti dell’organizzazione, con il compito di assistere gli affiliati nella detenzione e nel porto delle armi della consorteria, di favorire i contatti fra affiliati (le c.d. “ambasciate”), anche nei confronti di quelli detenuti, in generale cooperando con gli altri associati nella realizzazione del programma criminoso. Alle donne era altresì riservata la gestione delle iniziative imprenditoriali attraverso le quali la consorteria criminale “ripuliva” le consistenti somme di provenienza illecita. Gli esercizi commerciali, avviati al solo scopo di riciclare il denaro ricavato essenzialmente dal narcotraffico, sono stati sottoposti a sequestro preventivo contestualmente all’applicazione dei fermi di indiziato di delitto degli inizi del mese e, attualmente, vengono gestiti in regime di amministrazione giudiziaria.
Ulteriori 3 nuovi provvedimenti sono stati emessi nei confronti di GRASSO Michele4, CUTANO Roberto5, MESITI Giuseppe6, già tratti in arresto nello scorso mese di giugno nell’ambito di operazioni antidroga predisposte dai Carabinieri nella piana di Gioia Tauro. GRASSO Michele viene ritenuto organico ad una delle organizzazioni di ‘ndrangheta individuate e nota come cosca “CACCIOLA”, quale partecipe, mentre MESITI Giuseppe e CUTANO Roberto sono coinvolti a pieno titolo nel traffico di sostanze stupefacenti gestito dall’organizzazione, partecipando all’importazione di un ingente quantitativo di stupefacente dal Sud America. Inoltre al CUTANO viene contestata, unitamente a GRASSO Rosario e SURIANO Giuseppe (già destinatari del fermo del 9 luglio scorso), il concorso in un’estorsione aggravata dal metodo mafioso, avendo imposto ai titolari dell’esercizio commerciale “Upim” di Amantea (CS), di contattare i referenti delle organizzazioni mafiose locali per definire i termini del pagamento del “pizzo” per svolgere la loro attività in quel centro.
Un ulteriore provvedimento di custodia cautelare in carcere è stato emesso a carico della criminologa TIBULLO Angela7, accusata di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, corruzione in atti giudiziari e intralcio alla giustizia, aggravati dalle finalità mafiose.
Dagli approfondimenti svolti dai militari dall’Arma di Gioia Tauro è emerso chiaramente il ruolo rivestito dalla TIBULLO che, in virtù della professione esercitata, è risultato determinante nelle dinamiche associative e nel perseguimento degli interessi illeciti di alcune pericolose articolazioni di ‘ndrangheta del “mandamento tirrenico”, con particolare riferimento alle cosche “CREA” di Rizziconi (RC), “GRASSO” e “PESCE” di Rosarno, mettendo a disposizione dei propri assistiti detenuti indebiti vantaggi penitenziari, o sotto forma di riconoscimento di un regime cautelare più favorevole (da quello inframurario a quello domiciliare), o sotto forma di altri illeciti benefici, tra i quali il trasferimento verso un carcere ritenuto più consono.
In particolare, le indagini hanno permesso di accertare come la professionista, nella piena consapevolezza dell’illiceità del suo agire, si sia prodigata in favore degli affiliati detenuti per far ottenere loro la scarcerazione per incompatibilità con il regime carcerario, redigendo false consulenze e corrompendo i periti d’ufficio nominati dall’autorità giudiziaria per valutarne lo stato di salute o i medici impiegati all’interno delle strutture di reclusione.
Inoltre, sono stati documentati numerosi episodi che confermano la consapevole agevolazione delle condotte criminali dei propri assistiti, avendo veicolato all’esterno delle carceri i messaggi dei detenuti e avendo fornito ogni altra forma di ausilio agli associati, tanto da essersi prodigata anche per reperire le abitazioni dove far trascorrere le misure detentive alternative al carcere, o quanto altro necessario all’ottenimento delle autorizzazioni da parte dell’A.G., ai soggetti apicali dei sodalizi richiamati che lamentavano delle incompatibilità putative con il regime carcerario.
Le indagini hanno inoltre comprovato il carattere di non occasionalità di tali condotte: la TIBULLO, che nelle intercettazioni confida la sua aspirazione al ruolo di “regina della penitenziaria”, per soddisfare tali ambizioni, palesemente illecite, ha creato un vero e proprio “sistema criminale”, aggregando professionisti, medici o funzionari compiacenti – funzionali ad agevolare il conseguimento degli ingiusti vantaggi per i propri assistiti – o minacciando di escludere da successivi “affari” quelli che dimostravano di non rispettare le sue indicazioni.
I 6 destinatari della misura cautelare in carcere, già sottrattisi al fermo del 9 luglio u.s., sono tuttora irreperibile ed attivamente ricercati.
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