MELITO
Auspicavano venisse posto fine alle pubblicazione dei particolari dell’agghiacciante vicenda oggetto dell’inchiesta “Ricatto”, facendo appello alla sensibilità dei giornalisti e richiamando il rispetto delle “carte” che tutelano i minori. Un tentativo disperato ma comprensibile, che la famiglia ha messo in atto con l’intento di tutelare la ragazzina vittima del “branco”. Da questo punto di vista probabilmente qualche risultato l’hanno ottenuto, ma la torbida vicenda di abusi sull’adolescente ha richiamato, com’era normale che fosse, l’attenzione dei media nazionali.
In particolare negli ultimissimi giorni Melito Porto Salvo è stata terra d’approdo per tantissime troupe. Telecamere e giornalisti ovunque. In particolare nel cuore della cittadina “ferita”. Le ricostruzioni della storia mandate in onda o pubblicate sui quotidiani non hanno raccolto consensi unanimi. In tanti hanno storto la bocca, respingendo l’accusa di omertà affibbiata a tutti i melitesi. Senza distinzione di sorta. I distinguo tuttavia vengono dagli stessi melitesi. Dovevano assolutamente essere fatti, soprattutto da quanti riprovano la ‘ndrangheta, i suoi adepti e le sue logiche.
Chi sapeva e ha taciuto – questo è stato ripetuto da più parti – è complice; chi sapeva e ha fatto finta di non vedere si è macchiato di un crimine altrettanto orrendo. Chi si è girato dall’altro lato è colpevole, anche perché nel gorgo di una vicenda dai contorni aberranti, caratterizzata da intimidazioni e ricatti, era finita un’anima indifesa. Così come chi ha nicchiato, ha tentennato ha preso tempo, non ha raccolto i segnali lanciati dalla ragazzina, vittima sacrificale di una mentalità ancestrale. La mentalità del branco che attacca e azzanna. Del branco che circonda la preda per poi annientarla. Straziarla.
Da questa vicenda Melito Porto Salvo esce con le ossa rotte. Ancora una volta stritolata da vicende aberranti, pesanti e gravi. Vicende che rischiano di farla sprofondare ancor di più nel baratro. Senza dimenticare l’ingombrante presenza della ‘ndrangheta, vero cancro della società, che rende tutto più difficile e complesso. Senza far finta di non vedere il forte disagio sociale che è possibile cogliere a piene mani un po’ ovunque, soprattutto a livello giovanile.
C’è di che riflettere sul da farsi. Nei giorni della vergogna e della riflessione, che chiamano alla co-responsabilità tutte le agenzie educative del territorio, per fortuna c’è già chi ha cominciato a guardare oltre, convinto che ci siano ancora le possibilità di ripartire. Ed è pronto a rimboccarsi le maniche. Unire le forze per fare argine al dilagare della devianza minorile sarà un passaggio non solo necessario ma obbligato.
Così come rappresenterà un obbligo morale nei confronti della società tutta, fare quel passo in avanti più volte invocato dal Procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri. «Ognuno di noi – ha detto durante un incontro pubblico tenuto lo scorso mese di agosto in piazza Regina Pacis a Condofuri –oltre al lavoro deve scegliere di mettersi in gioco, entrare nell’arena e impegnarsi nel sociale. Io, ad esempio, vado nelle scuole da oltre 30 anni per spiegare ai ragazzi perché non conviene delinquere. Lo faccio utilizzando il loro linguaggio. Sentivo che scrivere sentenze o fare indagini non bastava ma che dovevo fare di più per aiutare la società».
L’invito di Gratteri è a non lasciare “liberi” spazi fisici, ovvero strade, piazze, luoghi pubblici, perché gli uomini della ‘ndrangheta sono sempre pronti ad occuparli anche simbolicamente, sottraendoli al godimento collettivo, e poi perché su quegli stessi spazi si possono costruire occasioni di incontro e di confronto, Occasioni di crescita per i giovani.
A Melito l’associazionismo è stato sempre forte. Lo stesso associazionismo, per bocca del referente del Forum del terzo settore, Mario Alberti, è pronto a fare la propria parte. E pronto a fare i passi in avanti che si renderanno necessari per occupare gli spazi liberi. Anche la scuola, attraverso le voci dei dirigenti scolastici del territorio, ha dato piena disponibilità, così come le parrocchie, le associazioni sportive e i Comuni. Urge serrare le fila e muoversi. Urge azionare la modalità operativa, prima che sia veramente troppo tardi.
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Mons. Morosini
Il vescovo in visitadalla ragazzina
«L’altro giorno sono andato a casa della giovane per incoraggiarla ad andare avanti. Ho trovato una famiglia distrutta ma con la volontà di riprendere il cammino nonostante le difficoltà che dovranno affrontare». Lo ha detto l’arcivescovo mons. Giuseppe Fiorini Morosini, in un’intervista a Tv2000. «Parlare di omertà - ha aggiunto – è riduttivo. In questo paese è esplosa una realtà che vive nel sottobosco: cioè il modo con cui questi ragazzi vengono educati alla sessualità, vista come gioco e divertimento».