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I legami tra massoneria e ’ndrangheta in Calabria, la testimonianza dell'ex Gran Maestro

Palazzo Giustizia Reggio Calabria

«Già agli inizi degli anni '90 l’allora procuratore di Palmi, Agostino Cordova, era convinto della commistione in Calabria tra ’ndrangheta e massoneria, e che la criminalità organizzata si fosse già ampiamente infiltrata nelle logge: era la strategia per occupare il nord d'Italia attraverso la massoneria regolare»: il professore Giuliano Di Bernardo, dal marzo 1990 alla primavera del 1993 Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia e vertice assoluto della più importante “Obbedienza” nazionale, la ricorda perfettamente, seppure a distanza di venticinque anni, quella chiacchierata a quattro occhi con il capo della Procura di Palmi, il magistrato Agostino Cordova che stava scavando sui legami e gli intrecci tra ’Ndrangheta e Massoneria.

Il Gran Maestro, ieri teste nel processo «’Ndrangheta stragista», che si sta celebrando in Corte d’Assise a Reggio per ricostruire gli attentati ai Carabinieri consumati a cavallo tra il 1993 e il 1994 sull’asse Reggio-Palermo, non nasconde «il disagio, lo stupore e l’incredulità di fronte a una visione del Grande Oriente d’Italia che mai avrei immaginato. E di trovarmi al vertice di una potente organizzazione di cui ignoravo tutto».

Il professore Di Bernardo, rispondendo alle domande del procuratore aggiunto della Dda reggina, Giuseppe Lombardo, ribadisce lo sgomento personale ed infatti «proprio dopo l’incontro con Cordova mi dimisi». A fornire la conferma della onnipresenza della ’ndrangheta nella massoneria, in Calabria, sarà il numero due del Goi, il cosentino Ettore Loizzo: «Ammise con onestà che 28 su 32 logge calabresi erano allora controllate dalla mafia. Fu allora che gli chiesi il da farsi e la risposta fu chiara: “Nulla, assolutamente nulla. Non posso mettere a rischio la mia vita e quelle dei miei familiari”».

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