«Ti sparo in testa, devi sapere che sono il capo di San Cristoforo». E’ la minaccia pronunciata da Francesco Belfiore, di 46 anni, uno degli esponenti emergenti della 'ndrangheta reggina contigui alla cosca Libri, presunto responsabile, con altre sei persone arrestate stamattina dalla Squadra mobile di Reggio Calabria, del sequestro di persona e della tentata estorsione, reati aggravati dal metodo mafioso, ai danni del compagno della titolare di una pizzeria. Oltre a Belfiore sono finiti in carcere Massimiliano Polimeni, di 26 anni; Carmelo Scaramuzzino (19) e Giuseppe, Pietro, Bruno e Domenico Natale Surace, rispettivamente di 38, 64, 61 e 39 anni. Nè la titolare della pizzeria, né il compagno vittima del sequestro hanno piegato la testa di fronte alle minacce. La donna, in particolare, testimone del sequestro del compagno, ha denunciato subito i fatti, consentendo l’avvio delle indagini della Squadra mobile reggina che in poco più di un mese hanno permesso di ricostruire l’intero quadro delle responsabilità relative al sequestro ed al tentativo di estorsione. «E' un’operazione - ha detto, in conferenza stampa, il Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri - che delinea un atteggiamento di arroganza tipico delle associazioni mafiose. Un metodo violento perpetrato ai danni di una persona che non aveva saldato un debito di cinquanta euro ed il cui creditore, anziché rivolgersi allo Stato, si era affidato, per risolvere la questione, a persone contigue alla cosca Libri. La Squadra mobile, grazie alla tempestiva segnalazione del fatto-reato, è riuscita però a ricostruire minuziosamente la vicenda, consentendo l’arresto dei responsabili». I fatti che hanno portato agli arresti risalgono 30 dicembre scorso, giorno in cui la titolare di una pizzeria ha segnalato alla Sala operativa della Questura che il suo compagno era stato costretto con la forza a salire su un’autovettura ed era stato condotto in un luogo sconosciuto. «Da qui - ha detto il dirigente della Squadra mobile, Francesco Rattà - sono scattate immediatamente le indagini, con il coordinamento dei Pm della Dda Roberto di Palma e Angelo Gaglioti, e con l’audizione di testimoni, intercettazioni telefoniche e ambientali. É stato possibile, così, accertare la dinamica del sequestro e le ragioni che avevano portato al gravissimo gesto». Si é scoperto, così, che uno degli arrestati, Giuseppe Surace, che aveva lavorato come pizzaiolo nel locale della compagna della vittima del sequestro, vantava un credito di 50 euro a seguito del suo licenziamento. Da qui la pretesa di ottenere la somma di 500 euro, a fronte di un pregresso accordo di 800 euro per chiudere la vertenza, somma della quale erano già stati versati 750 euro. Dopo il rilascio dell’ostaggio, con la condizione che sarebbe stata versata la somma pretesa, l'estorsione non si é concretizzata grazie al tempestivo intervento della Polizia di Stato.