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Affari fra 'ndrangheta e mafia, un pentito: "Faccia da mostro trovò il tritolo per le stragi"

Giovanni Aiello, "Faccia da mostro"

Si rafforza sempre di più il filo rosso che lega ’ndrangheta calabrese e cosa nostra siciliana sulle stragi continentali e sugli attentati ai carabinieri consumati proprio nel Reggino a cavallo tra il 1993 e il 1994 per allargare la strategia del ricatto voluta da Totò Riina contro lo Stato che non intendeva ammorbidire la legge sul “carcere duro”.

Un altro pentito eccellente, il reggino Nino Lo Giudice, detto “il nano”, è sfilato (collegato in videoconferenza) in Corte d’Assise a Reggio sul banco dei testimoni nel processo «’Ndrangheta stragista», l'inchiesta della Procura distrettuale antimafia di Reggio che sta sostenendo la tesi dell’asse Reggio-Palermo dietro gli agguati ai servitori dello Stato uccisi con la divisa addosso soltanto per allargare la stagione del terrore dalla Sicilia alla Calabria.

Stragi condivise da Reggio e Palermo di cui Lo Giudice ebbe conferma direttamente in carcere, nel periodo trascorso all'Asinara a stretto contatto con tanti amici siciliani, colonnelli di Totò Rina.

Ma il nome eccellente che Nino Lo Giudice consegna al dibattimento di «’Ndrangheta stragista», rispondendo alle domande del procuratore aggiunto della Dda di Reggio, Giuseppe Lombardo, è uno dei personaggi più inquietanti della storia torbida d'Italia degli ultimi trent’anni, Giovanni Aiello meglio conosciuto come “faccia di mostro”, calabrese di origine ma per una vita alla Squadra Mobile di Palermo prima e ai servizi segreti siciliani dopo.

Sull'oscuro 007 (deceduto, ed indagato anche in questo processo) il “nano” racconta: «Fu Giovanni Aiello a prendere l’esplosivo in Calabria per eseguire le stragi di mafia. Era andato a ritirarlo ad Annà, dalla cosca Iamonte. Anche per le stragi di Falcone e Borsellino, mi disse che l’esplosivo era quello di Reggio».

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