Reggio

Venerdì 22 Novembre 2024

Cocaina a fiumi in transito dal porto di Gioia Tauro: 5 arresti nel clan Bellocco

Il porto di Gioia Tauro

Cinque persone sono state arrestate dai finanzieri del comando provinciale di Reggio Calabria e del Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata della Guardia di Finanza, con il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia della città dello Stretto. Gli arresti sono stati eseguiti nelle province di Roma, Reggio Calabria e Sassari nei confronti dei presunti appartenenti ad un’associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di cocaina legata alla cosca di 'ndrangheta dei Bellocco di Rosarno. Il provvedimento dispone l’applicazione della custodia cautelare in carcere nei confronti di Umberto Emanuele Oliveri, di 32 anni; Domenico Pepè di 64 anni, Alessandro Galanti, 38 anni; Antonio Ponziani, 34 anni e Alessandro Larosa, di 41. Sono ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti. L’organizzazione, che si avvaleva della complicità di squadre di operatori portuali infedeli, acquistava all’estero ed importava in Italia attraverso navi in arrivo nel porto di Gioia Tauro, ed in altri porti nazionali, ingenti quantitativi di cocaina. Agli indagati è contestata l’aggravante di avere agevolato l’attività della cosca Bellocco di Rosarno. L’operazione di oggi, denominata «Balboa», rappresenta l’epilogo di indagini svolte dalla Sezione G.O.A. del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Reggio Calabria, che avrebbe permesso di accertare l’esistenza di un gruppo criminale capeggiato da Umberto Emanuele Oliveri, indicato come «dominus» alla continua ricerca di cocaina da far giungere nel porto di Gioia Tauro dal Sud America e dal Nord Europa (Belgio, Brasile, Argentina, Ecuador e Perù) e legato da stretto vincolo parentale a Umberto Bellocco, 82 anni, ritenuto uomo di vertice dell’omonima cosca nell’ambito della quale lo stesso Oliveri avrebbe un ruolo di rilievo. L’operazione «Balboa», secondo gli inquirenti, conferma l’importanza strategica assunta nel tempo per le mafie dal porto di Gioia Tauro, vero e proprio snodo commerciale per l’importazione di ingenti quantitativi di droga provenienti dal Sud America e dal resto d’Europa. Numerosi i sequestri di cocaina purissima, per centinaia e centinaia di chili, effettuati dalla Guardia di Finanza di Reggio Calabria all’interno dell’area portuale, e le operazioni condotte sempre dalla Sezione GOA della Guardia di Finanza reggina. Nel luglio 2014, nell’ambito dell’operazione «Puerto Liberado», furono eseguite 18 misure cautelari in carcere, cui sono seguite numerose condanne confermate in grado di appello con sentenza del 2017. Nel luglio 2016, nell’ambito dell’operazione «Vulcano», furono eseguiti 15 arresti a carico di un’associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di cocaina per conto delle potenti cosche di 'ndrangheta Molè, Piromalli, Alvaro, Crea e Pesce. Anche in questa occasione tutti i 22 imputati che hanno scelto il rito abbreviato sono stati condannati. Oltre a Oliveri, dall’inchiesta sarebbero emerse le figure di le figure di Alessandro Galanti, «vero e proprio broker internazionale - scrivono gli inquirenti - in contatto con i narcos produttori esteri della sostanza stupefacente», di Alessandro Larosa e Antonio Ponziani, che supportavano Oliveri e Galanti nell’organizzazione dei traffici, e di Domenico Pepè, uomo di fiducia, che si occupava anch’egli dell’acquisto e dell’importazione della droga. Giunta in Italia, al porto di Gioia Tauro, la cocaina, occultata all’interno dei container in borsoni, veniva prelevata da operatori portuali incaricati da Oliveri di recuperare lo stupefacente e di portarlo al di fuori dello scalo calabrese. Nell’ambito delle indagini, sono stati sequestrati complessivamente 527 panetti di cocaina purissima, per un peso complessivo di 598,520 chili, e sono state ricostruite diverse importazioni di stupefacente per complessivi 312 chili di cocaina. I destinatari dei provvedimenti restrittivi contavano su una fitta rete di contatti, talmente ramificata da essere in grado di recuperare lo stupefacente non solo dal porto di Gioia Tauro, ma anche da altri porti, sia nazionali che esteri, avvalendosi della forza intimidatrice esercitata dalla cosca di appartenenza.

leggi l'articolo completo