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'Ndrangheta, gestiva attività sequestrate: arrestato un imprenditore di Reggio

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Estorsione aggravata dal metodo mafioso e trasferimento fraudolento di beni: questa l'accusa nei confronti Carmelo Giuseppe Cartisano, 47 anni, imprenditore di Reggio Calabria arrestato questa mattina dai carabinieri del comando provinciale locale. L'operazione riguarda un’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip del Tribunale di Reggio, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia.

Il provvedimento prevede anche il sequestro preventivo di tre attività commerciali, per un valore di diverse centinaia di migliaia di euro. Le indagini hanno fatto luce su una “regia occulta” che ha consentito all’indagato di mantenere il controllo di attività commerciali già a lui sequestrate in pregresse vicende penali.

Cartisano è stato arrestato a Gallico ed è figlio di Domenico Cartisano «u tempesta» e nipote del boss Paolo Surace, trucidati a Gallico l’11 dicembre del 1988, nel corso della guerra di mafia tra il cartello destefaniano e il gruppo 'Condello-Serraino-Rosmini', uno scontro che fece registrare centinaia di omicidi tra le due fazioni.

Disposto anche il sequestro preventivo dei beni di Cartisano: tre imprese individuali intestate a due cittadini rumeni, Petre Olimpia Mihaela e Zlatan Costel, ma di fatto direttamente gestiti da lui. Si tratta dell’associazione sportiva 'Marilyn club', un ristorante ubicato a Santa Trada, sulle colline di Villa San Giovanni; un ristorante-pizzeria, il 'Naos', posto sul lungomare di Gallico e una impresa edile, affidata a Zlatan Costel.

Il sostituto procuratore della Dda Stefano Musolino, titolare dell’indagine, a seguito delle operazioni Rhegion e Ghota, aveva individuato Carmelo Cartisano come uno degli imprenditori gallicesi più vicini all’ex parlamentare del Psdi Paolo Romeo, tuttora sotto processo in «Ghota».

Secondo le indagini, eseguite dal reparto operativo dei carabinieri diretto dal colonnello Massimiliano Galasso, Cartisano, di fatto, non aveva mai cessato di gestire le sue attività economiche malgrado i passaggi di proprietà ai due cittadini rumeni, «reiterando condotte delittuose, come l’appropriazione indebita, forniture e prestazioni mai contabilizzate, estorsioni ai danni dei dipendenti».

Carmelo Cartisano era ormai considerato dagli investigatori come «l'erede naturale» dello zio Domenico Chirico, assassinato il 20 settembre 2010 a Gallico mentre si recava a consegnare materiale edile in un immobile in costruzione.

Nell’operazione "Gattopardo", sono anche indagati, con iscrizione al relativo registro, l’avvocato Marco Crocitta e il commercialista Giovanni Morabito. Crocitta e Morabito, secondo quanto é detto nell’ordinanza emessa dal gip di Reggio Calabria, Stefania Rachele, sono coinvolti nell’inchiesta «per fatti consumati in concorso morale in qualità di professionisti, perché fornivano le informazioni tecniche ed i consigli giuridico-economici necessari a garantire la disponibilità sostanziale di un bene sequestrato a Cartisano».

Le indagini dei carabinieri, inoltre, hanno evidenziato che Cartisano, «approfittando della situazione di depressione del mercato del lavoro e della conseguente debolezza contrattuale dei lavoratori dipendenti che ostacolava la privata difesa degli stessi, nonché delle modalità di gestione del citato ramo d’azienda (il Naos) sottoposto a sequestro, alcuni dipendenti a consegnare una quota dello stipendio mensile, risultante dalla busta paga ovvero a rinunciare a riceverlo». Pressioni che costringevano alle «dimissioni immediate di una dipendente per motivi familiari, rinunciando così al godimento delle ferie maturate, nonché del diritto ad ottenere il corrispettivo dovuto per la loro mancata fruizione».

I carabinieri hanno anche portato alla luce un episodio avvenuto nell’ottobre del 2018 nell’agenzia di Catona del Banco di Napoli, quando Cartisano «mediante minaccia implicita, alterando ed elevando progressivamente il tono di voce ed incominciando ad imprecare, nel contesto di un pregresso rapporto intimidatorio, avrebbe costretto il direttore della filiale a consegnare ad una prestanome un carnet di assegni che, a tutela degli interessi dell’istituto di credito e delle relative regole interne, non gli spettava, a cagione del rischio elevato connesso all’operatività finanziaria del conto corrente e della sua riferibilità sostanziale allo stesso Cartisano, conseguendo così un ingiusto vantaggio patrimoniale con altrui danno. Fatto consumato avvalendosi del metodo mafioso, derivante dal suo ruolo all’interno della 'ndrangheta reggina, con riferimento all’area nord del Comune di Reggio Calabria, grazie al quale egli vinceva le resistenze della vittima, facendo comprendere che la reazione avverso un rifiuto per sostenere il piano criminoso, grazie al quale egli operava sul mercato attraverso l’intestazione fittizia di attività economiche, conti correnti e carte di pagamento, avrebbe potuto essere quella dell’intera cosca di appartenenza».

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