Omicidio preterintenzionale aggravato, falsità in atto pubblico, peculato, truffa aggravata ai danni del Ministero della Sanità e false attestazioni della loro presenza in servizio all'interno dell'ospedale. Sono queste le accuse che hanno portato agli arresti domiciliari due infermieri del Reparto di Psichiatria del Grande Ospedale Metropolitano. Si tratta di Giuseppe Laganà nato a Melito Porto Salvo (classe 1968) ma residente a Reggio Calabria e di Angelo Salvatore Tomasello, nato a Reggio Calabria (classe 1969). In particolare, le accuse si riferiscono al decesso di una donna di 41 anni, avvenuto il 24 febbraio 2018 all’interno del reparto dove la paziente era ricoverata per sindrome bipolare, su consiglio del proprio medico specialista, da quattro giorni. Secondo l'accusa il decesso sarebbe stato causato da una dose massiccia di psicofarmaci. Dal Grande Ospedale Metropolitano arriva un chiarimento: "Sebbene, per obblighi di legge, i Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura debbano essere allocati in ospedale, questi dipendono direttamente dal Dipartimento di Salute Mentale dell’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria". Le indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria diretta dal procuratore Giovanni Bombardieri, hanno così portato alla misura cautelare emessa dal gip del Tribunale di Reggio Calabria. Le indagini svolte dalla sezione Reati contro la persona della squadra mobile di Reggio Calabria - con il coordinamento del Procuratore Vicario Gerardo Dominijanni e del sostituto procuratore Nicola De Caria - avrebbero accertato che dalla cartella clinica e dal diario infermieristico, dalle dichiarazioni rese a seguito del decesso dal personale sanitario che aveva in cura la paziente e dalle informazioni dei parenti, era emerso che la donna versava in condizioni di benessere durante la sua degenza in ospedale (a parte alcuni episodi di insonnia e incontinenza) e non mostrava particolari problematiche di salute fisica. Gli accertamenti svolti hanno consentito di verificare che lo stato di agitazione, l’iperattività e l’insonnia avevano reso difficoltosa la gestione della paziente da parte dei medici e degli infermieri del Reparto di Psichiatria, costantemente impegnati a far fronte alle richieste della donna o ad impedirle alcuni comportanti legali alla malattia psicotica da cui era affetta. A seguito di ciò la ricostruzione operata consente di ritenere che durante la notte del 24 febbraio 2018, a causa dei suoi problemi di incontinenza, la paziente avesse richiesto più volte l’intervento degli infermieri, i quali infastiditi dalle sue insistenze le somministravano, in assenza di qualsiasi consulto medico, una dose massiccia di psicofarmaci che portava alla morte della degente. I consulenti medico-legali della Procura della Repubblica averebbero accertato che la morte della donna era stata determinata dalla somministrazione di un farmaco avvenuta nel corso della notte non prescritto in cartella clinica, né annotato nel diario infermieristico e né portato a conoscenza dei medici che avevano in cura la donna, compreso il medico di turno reperibile. L’interazione del farmaco somministrato clandestinamente nel cuore della notte dagli infermieri con quello somministrato dal medico, ignaro di tutto, la mattina seguente, determinava l’insorgenza di una depressione cardiorespiratoria e la successiva catena di eventi che conducevano alla morte della paziente. Peraltro la rilevantissima circostanza della somministrazione di una dose eccessiva di psicofarmaci emergeva anche da alcuni messaggi vocali che la mattina del 24 febbraio 2018, la vittima aveva inviato a parenti ed amici ai quali aveva comunicato che durante la notte gli infermieri le avevano somministrato cento gocce di uno psicofarmaco. Sarebbe emerso inoltre come gli infermieri Tomasello e Laganà si sarebbero appropriati indebitamente dei farmaci e presidi ospedalieri, in parte rinvenuti nel corso di alcune perquisizioni domiciliari nei confronti degli arrestati, per destinarli alla collaterale attività infermieristica da loro svolta presso il domicilio di soggetti bisognosi di cure, senza ottenere alcuna autorizzazione dall’Azienda Sanitaria per lo svolgimento dell’attività extra lavorativa. Le indagini hanno portato alla luce ulteriori condotte ascrivibili al reato di truffa aggravata ai danni dello Stato consumata in concorso dai due infermieri che attestavano falsamente la loro presenza in servizio mediante la timbratura del cartellino elettronico marcatempo. I due infermieri sono anche anche indagati per esercizio abusivo della professione medica, perché prescrivevano e fornivano a soggetti che avevano bisogno di cure, vari medicinali tra i quali psicofarmaci.